Omicidio Tartari, Rosy al figlio: "Ecco i soldi, prendi e scappa"

La badante: "La polizia è ovunque". E Patrick: "Peggio del carcere"

Patrick Ruszo (foto Businesspress)

Patrick Ruszo (foto Businesspress)

Ferrara, 29 novembre 2016 - «Mamma allora cosa fai?». «Niente, sto guardando loro (la polizia, ndr) che sono venuti qui a casa, stanno facendo qualcosa dentro, davanti al portone». «...mamma, io non ce la faccio più, peggio qui che in prigione». Ventiquattro settembre 2015, sono le 17.30 quando Sivakova Ruzena (Rosy) parla al telefono con il figlio, Patrick Ruszo. I poliziotti sono dappertutto, «stanno cercando qualcosa». Stanno cercando il corpo di Pier Luigi Tartari, portato via da Aguscello la sera del 9 settembre e da pochi giorni hanno arrestato Constantin Fiti, uno dei tre presunti responsabili. Rosy, badante della casa accanto a Tartari, è preoccupata per il figlio e farà di tutto per aiutarlo a fuggire. «Sicuramente ha detto qualcosa quel ragazzo (Fiti, ndr), sicuramente la polizia è venuta per questo...». E ancora: «Chiederò 150 euro, sarà abbastanza per voi per arrivare fino a qualche parte? Prendete un biglietto chilometrico da qui come abbiamo fatto noi». Gli indica la strada: «Riesci ad arrivare a Bolzano, lo sai. E dopo da Bolzano a Vienna che costa poco perché è là vicino». Patrick verrà catturato la notte del 25 settembre sul treno diretto a Padova e sarà lui stesso a portare poi gli inquirenti nel casolare della morte, a Fondo Reno, con all’interno il cadavere del pensionato 77enne.

«INFARTO TOTALE». Il 26 settembre Rosy parla al telefono con un’amica. E’ molto arrabbiata perché Patrick, dopo essere fuggito in Slovacchia, è tornato in Italia. «Questo è un totale infarto», dice. «Sicuramente l’hanno arrestato la sera». L’amica chiede il perché Patrick è tornato. Rosy piange: «Gli ho dato i soldi ed è tornato. E’ tornato sempre». Per tre volte dopo l’omicidio Tartari. La prima era fuggito con Ivan Pajdek, il capo della banda. «Prendevano un mezzo e andavano via – continua la mamma – in qualsiasi parte lontano». Ma Rosy, fino all’ultimo, cerca di difendere quel giovane figlio che «prima o poi mi porterà nella tomba». E al telefono con la figlia Nicoleta, quasi lo assolve: «Chi lo ha ucciso (Tartari, ndr)? Non lo so, l’uomo era ancora vivo quando lo hanno lasciato nella casa. Lo hanno legato. Non l’ha ucciso nessuno. E’ morto da solo».

«PASSERETE GUAI». Addirittura il 21 settembre, giorno dell’arresto di Fiti, Rosy chiama Pajdek. «Allora?», chiede lui. Rosy: «Perché non avete chiamato il bus?». P.: «Ma il bus l’abbiamo chiamato! Non c’è posto». R.: «Perché non andate normalmente?». P.: «...andiamo, com’è che si dice quel posto? Andiamo...ho appena procurato i soldi. Va tutto bene, stasera partiamo per come si chiama...». Rosy sbotta: «Ve lo dico, questa è una catastrofe». Pajdek se la prende con il figlio: «E’ lui che fa tutto alla rovescia. Con lui non si riesce mai...». R: «...adesso voi passerete dei guai».

A casa, in Slovacchia, la famiglia di Rosy ha bisogno di soldi per mangiare, per vivere. Ma la donna si è svenata per quel figlio che si è mangiato tutto. «Ti ho dato tanti soldi figlio mio e non sei stato in grado di andare a casa. Avresti potuto andare a prendere l’autobus o il treno. Devi sempre ascoltare gli altri? Potevi già essere a casa da tempo. Da tempo...». La donna, mai indagata, aiuterà la polizia ad arrivare a Pajdek che poi la accuserà di essere stata la basista di Aguscello. «Non riesco a parlare più – lo sfogo con Nicoleta –, ho fumato così tanto. Sono fuori di me». E in un’altra telefonata: «Se lo vedo lo uccido – dice alla figlia rivolta a Pajdek –. Non lo so quanti anni mi daranno, ma lo uccido...».