Violentata dal padre, deve pagarsi tutte le spese

Il condannato è nullatenente, alla vittima una cartella da 28mila euro

Una ragazza aggredita (foto archivio)

Una ragazza aggredita (foto archivio)

Ferrara, 13 novembre 2014 - «Sonono stata violentata due volte: prima da mio padre e poi dallo Stato». Sono parole amare quelle di Chiara (il nome è di fantasia), ferrarese di 36 anni, passata attraverso l’incubo della violenza tra le mura domestiche solo per precipitare nel labirinto assurdo della burocrazia. Dopo aver trovato il coraggio di denunciare l’orrore e dopo aver visto la persona che abusava di lei (ancora bambina), condannata sia in sede penale che civile, si è trovata tra le mani la richiesta di pagamento delle imposte su quella sentenza, con tanto di cartella di Equitalia.

La storia di Chiara inizia nel 1984. E’ in quel periodo che subisce le prime violenze da parte del padre. Condotte che proseguono, stando a quanto appurato anche in fase processuale, per ben 11 anni, da quando aveva otto anni fino ai 18. Nelle carte si parla di «abusi sessuali, violenze fisiche e psicologiche» da parte del padre, che si sarebbero concretizzate «nel costringimento a rapporti sessuali completi con frequenza periodica e persino quotidiana». A seguito della denuncia è partito il processo a carico del padre della ragazza, che si è concluso con un patteggiamento a tre anni di reclusione.

Il procedimento si è così spostato in sede civile dove alla donna, assistita dall’avvocato Francesco Ferroni, è stato riconosciuto un risarcimento danni da 500mila euro. Una sentenza che avrebbe dovuto mettere la parola ‘fine’ alla terribile vicenda di Chiara, ma che invece ha segnato l’inizio di un nuovo calvario. Del risarcimento stabilito dal giudice, Chiara ha visto solo una piccola parte («Circa 25mila euro – come spiega il suo legale – ottenuti dalla vendita all’asta di un appartamento del padre»). Null’altro perché l’uomo risulta nullatenente. E al danno si aggiunge ora la beffa. Nel 2009 arriva la prima cartella nella quale si chiede a Chiara di pagare la tassa di registro — un’imposta legata alla registrazione di atti giuridici presso l’Agenzia delle Entrate, che prevede il concetto di ‘solidarietà’ tra le parti, che sono abbligate a pagarla — calcolata sulla provvisionale (da integrare poi con la somma uscita dalla sentenza). 

Seguono poi una serie di altre richieste (molte a correzione di errori fatti in precedenza nel calcolo della tassazione) e alla fine la somma da versare si attesta intorno ai 28mila euro. Una somma per la quale — ed ecco la beffa — lo Stato sta cercando di rivalersi su Chiara, dal momento che il padre risulta nullatenente (e quindi impossibilitato a far fronte alla spesa). Fatto che sta rendendo sempre più complicata la vita alla 36enne, invischiata in questa trappola burocratica. «Io sono la vittima di quanto accaduto — è lo sfogo di Chiara —. Devo rimanere vittima per sempre? Sono passati ormai otto anni da quando è iniziato tutto e continuo ad essere perseguitata. Ormai ho paura anche ad avere un lavoro, o a comprarmi una macchina, temendo che da un momento all’altro possano rivalersi su questo. E’ una vera persecuzione».