Macerata, 17 luglio 2016 - Istanbul. Sono da poco passate le 22 di giovedì e Marco Tupponi, avvocato forlivese e docente di Diritto commerciale internazionale all’Università di Macerata, si trova nell’aeroporto. Lui non lo sa, ma fuori si sta per scatenare l’inferno: un tentato golpe che ha causato la morte di 265 persone. Ora Tupponi è tornato in Italia per quella che lui definisce una ‘inconsapevole fortuna’.
Professore, perché si trovava a Istanbul?
«Ero a Teheran, in Iran, in missione istituzionale con l’Università e il nostro aereo faceva scalo a Istanbul. Una coincidenza, insomma».
Si trovava lì nel momento in cui prendeva avvio il golpe.
«Sì, abbiamo volato con la Turkish e il nostro aereo doveva decollare alle 22.10. Guardando i tabelloni abbiamo visto che c’erano decine di voli cancellati, ma non abbiamo sospettato nulla: viaggiando capita che ci si imbatta in disguidi di questo genere».
Il vostro aereo, però, era in orario.
«Sì. E l’atmosfera all’aeroporto era ancora normale. Le persone erano tranquille. Noi abbiamo mangiato un panino al bar, poi ci siamo imbarcati e alle 22.20 stavamo già sorvolando Istanbul».
Avete viaggiato inconsapevoli di quanto stava succedendo.
«Sì. L’arrivo ad Ancona, però, è stato tutt’altro che normale».
Cosa è successo?
«Ci è arrivata incontro una vera e propria sfilata di carabinieri che ci hanno scortato fin dentro l’aeroporto e ci hanno sottoposto a controlli minuziosi. Io per lavoro viaggio tanto, ma non ho mai subito controlli del genere. Perciò è stato inevitabile cominciare a chiedere cosa fosse successo. Così abbiamo saputo del colpo di stato. Le forze dell’ordine ci hanno anche spiegato fino a che punto fossimo stati fortunati».
In che senso?
«Il nostro è stato l’ultimo volo a partire dall’aeroporto di Istanbul. Dieci minuti dopo il nostro decollo, tutti i voli sono stati bloccati. Una decina di minuti di ritardo e anche noi, probabilmente, ci troveremmo ancora lì».
Cos’ha fatto appena ha saputo del colpo di stato?
«Abbiamo avvisato i nostri cari che stavamo bene. Poi ci siamo collegati a internet e abbiamo visto le scene terribili che, probabilmente, stavano già cominciando ad avvenire fuori dall’aeroporto mentre noi ci trovavamo lì. La sensazione, in quel momento, era che il golpe fosse andato a segno. Ho un amico e collega di Istanbul, l’ho subito chiamato per accertarmi che stesse bene. Fortunatamente si trovava a New York».
Lei ha lavorato a Istanbul?
«Sì, ci sono andato spesso per lavoro e faccio scalo lì quando andiamo in delegazione in Iran».
Il 28 giugno due attentatori si sono fatti esplodere all’aeroporto Ataturk, ora il colpo di stato. Lei sarebbe disposto a tornare ad Istanbul, in futuro?
«Senz’altro, chi lavora con la Turchia sarà costretto a continuare a farlo, e lo stesso vale per me: se fosse necessario ci tornerei. Ma il governo di Erdogan non dà nessuna sicurezza. Se fino a poco più di un anno fa, promuovevo i contatti con la Turchia, oggi non mi sento più di farlo».