Il successo al femminile interpretato dalle donne

‘Soap Opera’ alle Passioni: la recensione dei ragazzi del liceo San Carlo di Modena

I ragazzi della 5ªA con la protagonista dello spettacolo Galatea Ranzi

I ragazzi della 5ªA con la protagonista dello spettacolo Galatea Ranzi

Modena, 12 novembre 2015 - Cesare Lievi, autore e regista, decide di ritrarre dubbi ed esitazioni di una donna in lotta con i suoi rimpianti. Lo spettacolo si apre con la protagonista che davanti allo specchio della sua lussuosa camera da letto non riesce a scegliere gli accessori da abbinare al vestito con cui presentarsi ai fotografi. A interrompere le sue perplessità è la balia che le ripete che la candidata alla presidenza dello stato non può permettersi di parlare da sola. Comincia così un lungo viaggio nei ricordi della protagonista, tra matrimoni infelici e un’infanzia all’insegna del vizio e della superbia. È anche presente un flashback nel quale una giovanissima attrice riveste i panni della protagonista da bambina. In una delle scene conclusive, la protagonista ha un dialogo con la sé stessa di molti anni prima.

La sofisticata scenografia rende bene l’idea della ricchezza che la donna ha ottenuto dai mariti, tutti e due deceduti. Il primo matrimonio era stato combinato dal padre che desiderava per la figlia una carriera ricca di successi. Per l’intera durata dello spettacolo, la donna si chiede se abbia amato veramente almeno il secondo marito, un agitatore sociale divenuto presidente della sua nazione.

Sono chiare le intenzioni di Cesare Lievi nel mettere in scena l’opera. Non viene indicata l’identità né la provenienza della donna, perché la protagonista deve indicare una categoria di persone: quella delle donne in carriera. Spregiudicate, ambiziose, sicure di sé, e non meno degli uomini pronte a mettersi in gioco. Ma quando l’aspirante presidentessa si trova sola con sé stessa a mettere in dubbio le sue certezze, rimpiange di non aver avuto figli e riconosce di aver odiato il padre per averle imposto un matrimonio di convenienza e senza amore. Spiccano alcuni oggetti dal profondo significato simbolico: il ventaglio, ad esempio, che citando le parole della protagonista ‘nasconde e rivela’, è metafora della sua vita, una vita in cui lei non ha fatto altro che recitare una parte, essere uno strumento, opprimere la sua personalità. «Essere niente per avere tutto» ripete la Signora. Ma poi, nell’ultima scena, abbandona totalmente i suoi principi chiedendosi a cosa serva una piramide di trionfi in assenza della sua autentica persona.

La scena in cui la Balia viene improvvisamente licenziata si ricollega al discorso che la stessa aveva fatto alla protagonista quando era ancora bambina, dicendo che diventare maturi è come «ricevere una legnata senza preavviso». Così la Signora capisce di essere diventata indipendente e desidera liberarsi di tutto ciò che riguarda il suo passato: la brama di potere, l’utilizzare gli altri come strumenti e il dover sempre recitare una parte. Infatti la figura della balia rappresenta quell’insieme di ideali sbagliati che sono stati insegnati alla donna fin da piccola.

I costumi e gli oggetti di scena sono evocativi e accattivanti. Il regista utilizza tutto lo spazio a disposizione, compresa la zona più vicina alla platea, per rendere partecipi gli spettatori alla realtà della messa in scena. In effetti il pubblico si sente coinvolto. Il dialogo con la sé stessa del passato è forse prolungato eccessivamente rispetto ad altre scene che sono state invece affrontate in modo quasi frettoloso. Per esempio la scena in cui la balia viene licenziata lascia molti interrogativi. Cosa farà la protagonista? Dove andrà la balia? Ma forse è proprio questo ciò che il regista voleva: che fosse lo spettatore a rispondere. Noi ci siamo fatti molte domande.

Giorgia Guandalini, Pietro Menzani, Valerio Vaccari, Classe 5ª A, Liceo classico San Carlo di Modena