Incidente mortale, Chiara: "Così ho cercato di salvare Filippo"

La 18enne era in auto con la vittima e il fidanzato. Ha estratto il corpo di Giovanelli prima che l'auto si incendiasse

Chiara Bruni, 18 anni, nel letto d’ospedale

Chiara Bruni, 18 anni, nel letto d’ospedale

Pesaro, 25 ottobre 2016 - Chiara Bruni, 18 anni compiuti da poco, è distesa nella cameretta n. 2 della Medicina d’urgenza, al secondo piano dell’ospedale San Salvatore. Le sono vicini i familiari. Ha il collare che le dà fastidio e il viso col trucco della festa. I medici le hanno detto che presto tornerà a casa. Non ha fratture, almeno di quelle che i raggi x vedono. Con fatica, soprattutto emotiva, Chiara parla tra le lacrime: «Filippo ci sarà sempre. C’è anche adesso. Lo sento».

E poi: «Siamo stati alla festa di compleanno di una nostra amica. Aveva preso in affitto una casa al Boncio, verso Treponti. Alle cinque circa siamo ripartiti tutti. Io e il mio fidanzato Alessandro siamo saliti con Filippo, sistemandoci dietro. Con noi sempre sul sedile posteriore c’era un ragazzo, Marco e davanti il fratello Giovanni».

«Arrivati a Pesaro – dice Chiara – loro sono scesi tornando a casa mentre noi abbiamo proseguito per Mombaroccio, passando per Candelara e poi Santa Maria dell’Arzilla. Ma noi dietro ci siamo addormentati quasi subito. Non ce l’abbiamo fatta a restare svegli anche se capivo che dovevamo parlare con Filippo che guidava. Quando c’è stato lo schianto, ci siamo ritrovati sotto i sedili, nel pavimento. Il fumo stava entrando dentro la macchina, sentivo un fischio, io sono uscita dalla mia parte e Alessandro dall’altra. Non ricordo bene, ma l’ho aiutato perché aveva dolore a distanziarsi dall’auto che poteva scoppiare. Poi ho visto Filippo fermo, al volante. Non si muoveva. Sono corsa da lui, non ho pensato a niente. L’auto poteva esplodere, sentivo quel fischio, il fumo, forse le fiamme ma Filippo non poteva restare lì dentro. Quando ho aperto la portiera l’ho chiamato, cercato di scuotere ma non rispondeva. Ho visto che l’addome si muoveva, come se respirasse affannosamente. Ho pensato, anzi ero certa, che fosse ancora vivo e che potesse rispondermi. L’ho preso per le braccia, trascinato fuori dalla macchina e portato lontano. Poi non avendo più il cellulare ho bussato per chiedere aiuto alla casa più vicina dicendo di chiamare il 118. Sono tornata da Filippo ma non rispondeva, anche se cercavo di avere un segno. Niente, non reagiva a nulla. Dopo qualche minuto sono arrivati i carabinieri, poi i vigili del fuoco e l’ambulanza. Ho visto il medico del 118 che ha provato a rianimarlo ma poi si sono arresi. E allora mi è caduto il mondo addosso. Mi sembrava impossibile, un brutto sogno».

«Sono stata portata in ospedale – ricorda Chiara – insieme ad Alessandro. ‘Fuler’ era l’amico di tutti. Un poeta, un artista, musicista, amava la natura. Era attratto da tutto quello che non sembrava spiegabile. Ci diceva di aver scelto Geologia a Bologna perché c’era ancora molto da scoprire. Aveva un animo poetico che lo rendeva unico. Non doveva finire così. E quando ci parlava delle ragazze che stava conoscendo all’università di Bologna, mi ricordo che la sua frase preferita era ‘sto sondando il terreno’. Sarà con noi per sempre». Fuori dalla cameretta numero 2 ci sono Giovanni, Lorenzo, Nicola, Marco. Piangono lentamente.