“Fiori del mare”, un viatico contro la banalità

L’ultima pubblicazione di Gianni D’Elia ha scalato le classifiche della poesia. L’autore nel nostro VIDEO legge e commenta alcuni brani

Gianni D’Elia nel suo studio, a Pesaro

Gianni D’Elia nel suo studio, a Pesaro

Pesaro, 17 novembre 2015 - Fiori del mare (Einaudi Editore 2015, p. 175, 15 euro), del poeta e scrittore pesarese Gianni D’Elia è stato appena designato libro del mese dalla nota rivista specialistica L’indice dei libri nel suo numero di novembre. Due le recensioni che la rivista gli dedica riservandogli una intera pagina. In una scrive, fra l’altro, Enrico Capodaglio: «Questo libro (l’ottavo nella collana Einaudi), forse il più importante, ricco e complesso dell’autore, è ambientato in un microcosmo, Pesaro, la città delle Marche tra i due colli, che è diventata nelle sue mani una forma della vita, come Recanati e Trieste per i due poeti, insieme a Baudelaire e Pasolini, più presenti nella sua opera».

Scrive invece Stefano Giovannuzzi nell’altra scheda critica: «Il pericolo che D’Elia talvolta corre, di un’intonazione nobilmente oratoria lascia il campo ad un affondo senza sbavature contro uno svuotamento di senso prodotto dalla modernità: è l’approdo sicuro e persuasivo dei “Fiori del mare”».

Bene, complimenti, un bel libro di poesie, più di cento, «esposte in saloni» – dice ancora Capodaglio – «come se il lettore fosse il visitatore di una pinacoteca en plein air», grazie e arrivederci.

Sarebbe sbagliato in pieno e completamente a nostro danno. Perché questo non è un libro di poesie, ma è il libro di poesie o per dirla tutta il “nostro” libro di poesie, di noi pesaresi in particolare.

«I due poeti più presenti» nell’opera di D’Elia di cui parla Capodaglio sono naturalmente Leopardi e Saba che hanno fatto rispettivamente di Recanati e di Trieste due paradigmi dell’anima di tutti noi. Così è per i versi di D’Elia: parti dalla Pesaro conosciuta e quotidiana e man mano che leggi sbarchi nell’altrove della poesia.

D’altronde è il carisma fondamentale del poeta, gli dai il quotidiano e lui ti restituisce l’eterno; gli dai la materia grezza e lui, grande alchimista, ti dona lo spirito. In quanti siamo che andiamo giù quasi per riflesso condizionato verso il mare o il porto, passeggiamo o ci sediamo? Guardiamo ma non vediamo, sentiamo che dietro c’è qualcosa ma non riusciamo a entrarci.

Ci hanno detto che stare a guardare il mare è romantico e fa anche chic, ma stiamo lì e non capiamo perché. Ed ecco che le parole di D’Elia ci prendono per mano, ci aprono la porta e ci fanno entrare:

Che splendida mattina, il sole scalda,

la pelle zigrinata del canale

ritrema incontro alla città che salpa,

fin dove l’Adriatico può entrare..

Noi normali avevamo sempre creduto che fosse semplicemente una giornata di garbino, saremmo tornati a casa dicendo come al solito ma hai visto che splendore oggi al porto? Poi leggiamo quei versi e capiamo che non è una cartolina illustrata , ma l’anima che palpita. Si potrebbe fare un sogno, che molti di noi, invece di stare seduti laggiù smanicando sui cellulari o con l’aria inebetita in attesa dell’angelo dal cielo, potremmo avere in dotazione il libro di D’Elia da usare come manuale per l’altrove. Apriamo a pagina 57:

Al brusio delle onde, i gabbiani, il monte,

la riva lucida e obliqua all’andare,

la luce di foschia sull’orizzonte,

la ghiaia di conchiglie, e il suo cricchiare...

Sta a noi scegliere se è il miele di Baia Flaminia e un altro posto a scelta. Oppure, in modo più chiaro, che dire de

La lingua della Baia lappa a riva

come un cane che lecchi le ferite...

o qui sotto il Faro, che lampa al frangente...

Ma adesso lasciamo il mare e saliamo verso la città:

All’angolo del Corso, come un morto

partigiano che torni nella piazza,

ti fermi allo spigolo del portico, ritrovi al sole la luce ragazza...

Un breviario per cogliere il filo che sta dietro alla banalità dell’incompreso, ecco cosa può essere per noi ciò che D’Elia ci offre. Però attenzione, questo è un libro piccolo ma per niente leggero o superficiale, ci sono dietro passione civile e rabbia disciolta, classicità e collegamenti profondi, c’è l’incanto dell’«odore dei tigli che è puro amore», ma c’è anche «una poesia che testimonia una bellezza ogni giorno lacerata dal degrado e dal brutto imperanti; c’è una consapevole perizia formale accompagnata da un lessico e da una struttura della frase che non coincide con il parlare ordinario e che rilevano il proprio della poesia in tensione spesso con i temi affrontati».

Gianni D’Elia è da anni una voce autentica e riconosciuta della poesia italiana, di assoluto rilievo è la sua dimestichezza e confidenza con Pasolini e con Baudealire che torna anche nel titolo con l’assonanza dei suoi Fiori del male. Ma noi amiamo di più il poeta che, mago e stregone insieme, ci vide sulla bici

come andammo amati

per queste stesse strade anche noi pure,

portando in canna la sola a cui piaci

tra mille scintillanti cromature...

Sembra il paradiso e invece è Pesaro, quella vera di D’Elia che coi suoi versi ci mette in mano il filo d’Arianna per l’eternità del mondo.