Uwe Janson: «Il mio poliziotto aiuterà tedeschi e italiani a sentirsi veri cittadini europei»

Il regista della fiction tv tedesca ambientata a Urbino, racconta come città e Italia appariranno nella attesa serie tv VIDEO «Torneremo nel 2016 per nuove puntate» ARCHIVIO «La meravigliosa Urbino che i tedeschi ameranno in tv» ARCHIVIO Con la fiction tedesca “Der Poliziotto” ora ci aspettiamo tanti turisti ARCHIVIO "Der Poliziotto", Urbino trasformata in set tv

Il regista tedesco Uwe Janson, autore di "Der Poliziotto"

Il regista tedesco Uwe Janson, autore di "Der Poliziotto"

Urbino, 28 giugno 2015 - «Urbino è un luogo straordinario per ambientare la nostra serie televisiva. Anzi, tra un anno torneremo per girare nuovi episodi». Parola di Uwe Janson, che possiamo ascoltare anche dal video che proponiamo qui sotto, regista della fiction che a dicembre sarà vista da milioni di tedeschi in prima serata sul primo canale nazionale. Non sono ancora finite le riprese della prima stagione di “Der Poliziotto” (il nome della serie) che già i tedeschi programmano il futuro, pensando anche agli enormi investimenti necessari, visto che i due episodi fatti in città ad oggi sono già costati almeno tre milioni di euro.

Uwe Janson è ormai un “tedesco d’Urbino”, conosce già vicoli e scorci cittadini e non perde mai occasione di confrontarsi con l’attore protagonista della serie, Leonardo Nigro che interpreta Roberto Rossi. Janson sul set è un condottiero: l’organizzazione tedesca si fonde con la creatività dei tantissimi italiani della troupe.

Appena arrivato in città lei è andato al Palazzo Ducale a vedere la “Flagellazione”. La storia scritta da Uli T. Swidler è ambientata qui, ma voi come vi trovate?

«Abbiamo scelto Urbino perché è la città del Rinascimento e perché ha una università antica, fondata nel 1506. Tutti gli edifici sono uno sfondo straordinario. Possiamo mettere la nostra cinepresa dove vogliamo e le cose appaiono sempre credibili. L’aspetto artistico ha una influenza sulle storie che raccontiamo nei vari episodi».

Un esempio?

«Nei primi due episodi che giriamo adesso (fino al 14 luglio, ndr) ci sono due dipinti chiave. “Lucrezia” (al Palazzo Ducale, opera della donazione Volponi, ndr) e la “Flagellazione”. Ebbene “Lucrezia” è legata alla prima morte sul cui mistero indaga Roberto Rossi, il vigile urbano d’Urbino».

E nel secondo episodio?

«Entra in gioco la “Flagellazione” perché questo dipinto potrebbe essere a sua volta l’interpretazione di un delitto. L’omicidio che avviene nella nostra storia riguarda due fratelli che si contendono una casa in campagna; in scena subentra anche il fratello di Roberto Rossi, ovvero Osvaldo. Combinare i dipinti con gli atti criminali odierni è un filo conduttore. Mi affascina l’opera di Piero, soprattutto per la costruzione prospettica che combina due immagini diverse in una. La parte sinistra è totalmente differente dalla destra. Poi abbiamo la figura di Ponzio Pilato. Le storie sono legatissime alla città, per questo dobbiamo girare a Urbino, anche se questo aumenta di molto i costi».

Già, quanto costa girare la serie a Urbino?

«Non ho i conti precisi, ma questi due episodi ci sono costati almeno tre milioni di euro».

Avremo un delitto in ogni episodio?

«Sì, è questa la filosofia della serie. Un “crime case” a episodio, con Roberto Rossi che indaga».

Al pubblico italiano apparirà insolito che a indagare sia un vigile urbano, ma in Germania – con un corpo di polizia unico – la cosa apparirà normalissima. Certo questo aspetto influirà in modo inaspettato sulla percezione degli italiani in Germania.

Che immagine verrà fuori di Urbino e degli italiani?

«Sarà molto positiva. L’atmosfera sarà particolare, perché daremo la percezione di una Italia come era negli anni Settanta e Ottanta: un paese meraviglioso, ma le vicende sono trasposte nel mondo contemporaneo».

E Urbino come appare?

«Una città importante dal punto di vista storico e artistico, al centro di tante attività e che ha una grande influenza storica anche per la Germania».

Quindi parlerà anche di problemi contemporanei?

«Si parlerà anche delle difficoltà economiche di oggi. Ma quello che voglio far vedere è che ci possono essere soluzioni positive: il pubblico tedesco si deve immedesimare nella realtà italiana. Anche in Germania ci sono tedeschi con problemi economici, e nel mio Paese sentiranno elementi di continuità e vicinanza. Nello sfondo ci sarà però una forte componente umana».

Non sarà dunque un’Italia di provincia?

«Ci sarà un tono, un tocco direi molto cosmopolita, si abbatteranno i pregiudizi su italiani e tedeschi. Con queste storie vogliamo anche aiutare a fare un passo avanti nel percorso europeo: mostrare che tutti noi abbiamo qualcosa in comune che va bene al di là degli stereotipi appiccicati alle nazioni. Nulla di quello che era vero in passato, nella divisione in stereotipi, è più vero. Oggi le persone si parlano di più tra le nazioni, c’è internet, si sa realmente quel che succede altrove».

Lei si sente più europeo che tedesco?

«Sì, anche guardando la storia della mia famiglia: cento anni fa venivamo da Svezia e Francia. La sorella di mia nonna sposò un uomo di Frosinone. Mio padre sembra essere mezzo italiano perché mia nonna ebbe una relazione segreta con un italiano. Quindi siamo tutti legati ed è importante far capire a tutti il valore dell’Europa: non siamo più piccoli stati, abbiamo tanto in comune. Questa è la grande possibilità e sfida di oggi».

Le piacerebbe fare una serie storica a Urbino, tipo “I Borgia”?

«In passato ho fatto lavori storici. Ma sarebbe interessante sfruttare la storia del passato per il presente, quindi traendo spunto dal passato per il futuro. Tipo imparare dagli errori del passato per non ripetere le guerre, oppure evitare che le religioni diventino come tigri che divorano tutti».

Quanto cambia il protagonista dal libro di Uli T. Swidler alla fiction?

«Ho ridotto gli stereotipi, e questo è un punto nel quale mi sono trovato in disaccordo con Uli T. Swidler. La televisione preferirebbe averli perché si capisce tutto prima. Ma io non sono d’accordo, voglio rompere gli schemi. La prima cosa che per me vale è il rispetto dell’altro, ogni persona è un mondo a sé. Mi interessano le storie e le emozioni, sia che facciano ridere o che siano drammatiche».

Lei si stacca dal romanzo?

«Swidler è stato contrario al cambio nella sceneggiatura. Ora i personaggi hanno misteri e sfaccettature che emergono un poco per volta. Quindi ho fatto un percorso che assomiglia di più alla logica di Fellini, che vi costringe a entrare dentro la storia».