Ravenna, violenza su una bambina, sette anni al patrigno

Il Pm: "Inascoltato il grido d’allarme della piccola". La difesa: "Pena sproporzionata"

Violenza su una bambina (foto d'archivio)

Violenza su una bambina (foto d'archivio)

Ravenna, 16 settembre 2017 - Una storia terribile, almeno stando alla verità giudiziaria. Palpeggiamenti e massaggi nelle parti intime a una bambina undicenne da parte del patrigno, il compagno della madre. Che ieri mattina è stato condannato dal tribunale collegiale di Ravenna – presidente Beatrice Bernabei, a latere Federica Lipovscek e Tommaso Paone – a sette anni per violenza sessuale aggravata su minore, in linea con la richiesta del Pm Cristina D’Aniello.

Alla vittima – parte civile con gli avvocati Christian Biserni e Antonio Diogene per i servizi sociali – è stata disposta una provvisionale di 10mila euro. L’imputato – di cui omettiamo le generalità a tutela della vittima – si era detto innocente («non sono un pedofilo»), spiegando che mai si sarebbe sognato di toccare quella ragazzina e che con lei faceva solo innocenti giochi, del tipo «mi colpiva con pugnetti sulle spalle». E puntava il dito contro la nonna materna, peraltro deceduta due anni fa, che avrebbe spinto la piccola a dire il falso pur di farlo andare via di casa poiché sgradito.

La convivente, e madre della bambina, era già stata condannata in primo grado, in abbreviato, a due anni e quattro mesi per non avere impedito tutto ciò. Ipotesi fantasiosa (eufemismo), per il Pm D’Aniello, quello della «ripicca della nonna». «La verità è che quella bambina – spiega – lanciava un grido d’aiuto, rimasto inascoltato, perché rivolto alla persona sbagliata: la madre, che invece aveva un atteggiamento beffardo». Più volte le avrebbe detto che quell’uomo le toccava il seno, «e poco importa che non fosse sviluppato, come lui sostiene». Un testimone chiave sarebbe la sorella, che riferiva delle minacce dell’uomo, quando si sentiva infastidito dai giochi maneschi della bimba: «Se non la smetti ti tocco le tette». Senza contare che gli avrebbe anche spalmato una pomata vaginale, anche se lui smentisce: «Si era parlato di comprarla». E il Pm: «Neppure avrebbe dovuto essere al corrente di un problema così intimo». La vittima aveva confermato le accuse in sede di incidente probatorio. Raccontò tutto dopo avere avuto una crisi isterica a scuola, avendo saputo che la mamma e l’uomo erano tornati assieme dopo una brusca rottura.

A incidere, nella sentenza severa, potrebbe essere stato anche un precedente per stalking dell’uomo. Comunque una pena «eccessiva e sproporzionata», secondo il difensore, l’avvocato Massimiliano Nicolai, che annuncia appello e rigettava le accuse parlando di «teorema senza prove», ritenendo che la testimonianza della sorella fosse indiretta e la sola diretta e attendibile fosse quella della madre, pure «condannata ingiustamente», la quale «aveva escluso che la figlia fosse stata costretta a subire palpeggiamenti». Al più, per la difesa, ci sarebbero stati sfregamenti involontari. Mentre neppure al padre naturale la piccola raccontò nulla. «In un processo del genere, a chiedere giustizia come parti civili, mi aspetterei di vedere la madre e il padre. Possibile fossero malvagi entrambi?» In subordine all’assoluzione la difesa chiedeva di risentire la vittima, che oggi è quasi maggiorenne, per fugare ogni dubbio: «Abbiamo forse paura a chiamarla perché si teme ritratti tutto»?