La ‘Dimora di Abramo’ in utile, furia dei sacerdoti

Don Simonazzi vota contro il bilancio: "Quei soldi vadano ai profughi, non ai soci"

Don Daniele Simonazzi in una foto d'archivio (foto Artioli)

Don Daniele Simonazzi in una foto d'archivio (foto Artioli)

Reggio Emilia, 24 agosto 2015 - Solidarietà e business, dai documenti della coop Dimora d’Abramo depositati al registro imprese si scopre che, al termine dell’assemblea dei soci dello scorso 26 maggio, due sacerdoti notissimi come don Daniele Simonazzi e don Eugenio Morlini hanno votato contro il bilancio 2014 della cooperativa. I due prelati hanno contestato il fatto che i soci si siano spartiti una fetta da 59mila euro degli utili dell’azienda e la qualità dei servizi offerti ai migranti. La Dimora d’Abramo è la società cooperativa che ha vinto il bando (come capofila di una associazione temporanea con Papa Giovanni XXIII, Ceis, Ovile, Madre Teresa di Calcutta) per la gestione dei profughi inviati a Reggio Emilia.

E i motivi del dibattito sono collegati proprio alla gestione dei profughi. La coop infatti chiude il 2014 con un bilancio scintillante: il fatturato è passato da 2, 22 milioni a 3,51 milioni, l’utile di esercizio da 77mila a 170mila euro, in cassa ci sono 795mila euro. Il presidente della coop, Luigi Codeluppi, propone un ristorno ai soci di 59.950 euro, «in parte - si legge nel verbale dell’assemblea - da capitalizzare euro 27.800,98 ad aumento della quota sociale, ed in parte in busta paga euro 32.149,02». Il primo a prendere la parola è don Giuseppe Dossetti, sacerdote da sempre in prima fila nell’accoglienza degli immigrati: «Cosa ne facciamo di questi soldi? - si chiede il sacerdote - se l’utile è dovuto all’attività con gli immigrati, in che modo ne ridistribuiamo anche a loro?».

A seguire ecco l’intervento di don Daniele Simonazzi, che «manifesta la sua preoccupazione di un bilancio in attivo - si legge nel verbale - quando si fa riferimento alla povera gente, considerando che a suo parere la Dimora è al servizio della povera gente». E per questo don Simonazzi decide di «manifestare il suo dissenso rispetto al ristorno». La terza ‘mazzata’ arriva da don Eugenio Morlini: il sacerdote «porta alcune lamentele verso l’organizzazione in generale e nello specifico di alcuni servizi: rispetto ai turni di lavoro, rispetto al tipo di accoglienza che la Dimora offre».

Ma non solo: sia don Dossetti che il socio Stefano Tubertini chiedono una analisi sui centri di costo, in modo da sapere la destinazione delle spese sostenute dalla coop. Nei sucecssivi interventi di alcuni soci, si capisce che questi non ne vogliono sapere di rinunciare al ristorno. Don Dossetti alla fine voterà favorevolmente al bilancio, ma porrà la condizione di riconvocare i soci per capire come verranno utilizzati gli utili della cooperativa. Alla prova del voto la linea del presidente Codeluppi passa con un’ampia maggioranza, 24 favorevoli e 7 contrari: ma nel verbale dell’assemblea resta registrato lo strappo di due uomini di chiesa come don Morlini e don Simnonazzi.

Dal bilancio della coop emergono poi altri elementi interessanti. Ad esempio il fatto che «nella società cooperativa è venuta a mancare la condizione di mutualità prevalente». Guardando i numeri del personale, si nota che 23 sono i soci lavoratori, 79 i dipendenti e un collaboratore.

Da notare anche che i risultati della cooperativa siano migliorati nonostante la perdita di una importante commessa: «Nell’anno - si legge nel bilancio - la cooperativa insieme al Consorzio Romero ha dovuto affrontare una complessa procedura di gara che ci ha visti oggi perdere un importante appalto nel servizio di mediazione».