DANIELE PETRONE
Cronaca

L’ultimo sopravvissuto di Cefalonia «Vi racconto cosa significa guerra»

Armando Rituani ha combattuto sull’isola greca nel secondo conflitto

Armando Rituani, 94 anni, mostra la foto di lui (secondo da destra) a Cefalonia

Armando Rituani, 94 anni, mostra la foto di lui (secondo da destra) a Cefalonia

Reggio Emilia, 10 novembre 2015 - "Dovevo lasciare l’isola da prigioniero. E ci divisero in tre navi. Le prime due che partirono saltarono per aria, una bombardata e una a causa di una mina. La terza arrivò a destinazione e su quest’ultima c’ero io. Non potete immaginare la sensazione...". Mentre racconta, Armando si sfrega le rughe. Segni scavati da un dramma vissuto sulla propria pelle. Lo sguardo fisso nel vuoto, quello di chi ripercorre con la mente ogni giorno la guerra. Di chi ha visto tanti amici morire. Le parole scorrono con una lucidità disarmante per un uomo di 94 anni. «Non si può non esserlo – spiega – se scampi alla morte...».

Armando Rituani è l’ultimo sopravvissuto reggiano della ‘Battaglia di Cefalonia’. Sull’isola greca, durante la seconda guerra mondiale, dopo l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania, Mussolini decise di invadere la Grecia per cercare di conquistare i Balcani. Fino ai primi mesi del 1943 la convivenza tra soldati italiani e tedeschi nell’isola non aveva presentato problemi. Ma quando l’8 settembre dello stesso anno, il governo Badoglio firmò l’armistizio con gli angloamericani, l’alleanza tra Italia e Germania si spaccò. E sull’isola ci fu il massacro di migliaia di soldati italiani. ‘L’eccidio di Cefalonia’. «Sono stato mandato sull’isola nel giugno del ’43 e assegnato al 94° gruppo di artiglieria della Divisione Acqui – ricorda con precisione certosina – Facevamo servizio a torso nudo, facevamo sport, giocavamo a carte, sembrava una vacanza... Ma da quell’8 settembre la pacchia finì...». Nelle truppe italiane un terribile aut aut: combattere contro i tedeschi o arrendersi. Ma dopo l’armistizio, i tedeschi si rendono protagonisti di atti di violenza inenarrabili. «Non hanno avuto limiti – grida Rituani – Oltre 500 ufficiali fucilati; tra questi il sottotenente Germano Casarini, uno dei pochi reggiani assieme a me. Io fui fatto prigioniero e ricordo la fame patita dopo giorni senza mangiare...». Quando si scampa alla morte, c’è pure il tempo di riderci: «Ho venduto una coperta per tre mele cotogne...».

Poi i tedeschi decidono di lasciare l’isola e organizzano le prime navi per caricare i prigionieri. Duemila alla volta. «Dopo le prime due silurate – spiega Rituani – pensavo di morire anche io. Mi è andata bene, sono arrivato al Pireo. E qui ci hanno buttato dentro degli stabilimenti dove svolgevamo servizio di manodopera. Vendevamo le olive rubate nei campi per poter comprare la farina gialla e preparare la polenta...». Nell’ottobre del ’44 la Germania batte in ritirata dalla Grecia. «Era il momento di andare – dice Armando con ritmo incalzante – In trenta arrivammo a piedi fino a Szombatheli in Ungheria, dove c’era un campo di concentramento. Qui arrivarono ufficiali italiani che ci dissero: ‘se aderite al Psi, vi portiamo a casa’. Non esitammo a dire sì. Non avevamo cognizione politica, ma solo voglia di tornare in Italia. Ci portarono a Bassano del Grappa. E da qui, arrivammo a piedi fino a Reggio. Quanto impiegammo? Quattro giorni, andavamo svelti veh... Una volta a casa, mia madre mi buttò in una tinozza bollente, avevo non so quanti pidocchi... Il momento più brutto fu quando ho dovuto dire alla moglie del sottotenente Casarini che suo marito era morto. Lo dissi brutalmente, perché la guerra è così...».

Rituani il 4 novembre scorso ha ricevuto dalle mani del sindaco Luca Vecchi la Medaglia della Liberazione. E qui, stupisce tutti: «Da un punto di vista delle peripezie vissute può avere un senso. Ma non sono un eroe. La guerra fa schifo e si riassume tutto in tre parole: Il mito. La tragedia. E l’oblio. Ci si dimentica e non bisogna. Sono preoccupato per i miei nipoti dopo ciò che è successo a Parigi. Perché voi la guerra non sapete cos’è davvero...». Ci pensa ogni giorno Armando, a ciò che è passato. Ha tutto negli occhi. Ma non ha perso la voglia di sorridere e di allargare le sue rughe quando lo fa. «Questa è la mia signora – dice presentando la moglie – Non l’avrei mai conosciuta se fossi partita sulle prime due navi. Lei è la donna che mi ha sopportato e supportato. Colei che alla domenica invece che farsi portare in giro da me, veniva a vedermi gareggiare. Facevo i 110 ostacoli, sa? Ho vinto il bronzo ai campionati italiani assoluti. E giocavo pure nella Reggiana. Poi la guerra...». Armando abbraccia la moglie. E lei: «È sempre stato bravo il mio Armando...». Un esempio di come l’amore dovrebbe trionfare. Sempre.