
La sua versione del celebre racconto di Thomas Mann stasera allo Sperimentale di Ancona "Il tema centrale di questo spettacolo è proprio il guardare e l’essere guardati".
"Una libera interpretazione di un dialogo tra sguardi". Così Liv Ferracchiati ha definito la sua versione del celebre racconto di Thomas Mann "La Morte a Venezia", in scena questa sera (ore 20.45) al Teatro Sperimentale di Ancona. Non un adattamento teatrale, né una riproposizione fedele dei temi affrontati nel testo, tanto che l’omoerotismo e la differenza di età fra i due protagonisti ne sono esclusi. Resta l’incontro a Venezia tra due sconosciuti, Gustav Von Aschenbach e Tadzio, in un’atmosfera mortifera, dove è proprio lo sguardo l’elemento chiave, tanto che nelle note di regia si cita una frase dello stesso scrittore: "Nulla esiste di più singolare, di più scabroso, che il rapporto fra persone che si conoscano solo attraverso lo sguardo".
Ferracchiati, in scena c’è una macchina fotografica su un treppiede. Anche questo elemento rappresenta il concetto di ‘sguardo’ alla base dello spettacolo?
"E’ uno strumento attraverso il quale amplificare l’idea dello sguardo che trasforma chi è guardato. Il tema centrale dello spettacolo è appunto il dialogo tra sguardi che coinvolge Gustav Von Aschenbach e Tadzio. C’è il guardare e l’essere guardati".
Dal racconto di Thomas Mann Luchino Visconti ha tratto un celebre film. La pellicola è stata una fonte di ispirazione? "L’abbiamo guardato con grande attenzione, ma il film non è stato una fonte di ispirazione per lo spettacolo. Come nel racconto, sono molto presenti i temi dell’omosessualità e della differenza di età tra i due protagonisti. Cose che una volta facevano scandalo. Oggi i tempi sono cambiati. C’è un unico ‘appiglio’ estetico con il film".
Quale?
"I teli degli stabilimenti balneari, su cui viene proiettata l’immagine di Gustav Von Aschenbach. Questo permette allo spettatore di cogliere particolari che normalmente a teatro si perdono, a causa della distanza. Come quello su cui Von Aschenbach si concentra, il primo piano del suo sguardo".
E’ davvero solo un rapporto ‘visivo’ quello che si crea tra i personaggi?
"I due non si toccano mai. Anzi, non sappiamo neanche se Tadzio si accorge di Von Aschenbach, nel senso che non sappiamo cosa pensa di lui. Il ragazzo tra l’altro parla una lingua sconosciuta a Von Aschenbach, visto che la sua famiglia è polacca". In compenso in scena va il linguaggio del corpo vista la presenza della danzatrice Alice Raffaelli.
"Fin dall’inizio ho pensato a lei come Tadzio. Ha un grande magnetismo scenico. La sua danza esprime bellezza e fascino. E il testo di Mann parla soprattutto di quella bellezza indicibile che accende sia la passione che la vena creativa, l’ispirazione artistica".
Cosa rappresenta nel suo percorso artistico questo spettacolo?
"E’ un lavoro diverso dal solito. Io di solito ho a che fare di più con la prosa. ‘La Morte a Venezia’ mi ha coinvolto molto, e mi ha fornito possibilità di scrittura differenti. Nei miei spettacoli precedenti, poi, c’era una forte vena ironica. In questo caso c’è più liricità".
Raimondo Montesi