
di Marina Verdenelli
Chiedere aiuto non è mai troppo tardi e farlo in tempo significa farcela e sopravvivere. E’ stato così per Giulia (nome di fantasia), 45 anni, mamma di tre bambini, della provincia di Ancona, che tre anni fa ha visto la morte in faccia. Era in auto quando il suo ex compagno ha tirato fuori una corda e gliela ha stretta al collo. Lei è riuscita a fare una chiamata al 113 con il cellulare e poi a colpirlo solo così lui ha allentato la presa. Per quella vicenda è in corso un processo per tentato omicidio al tribunale di Ancona, dove la donna si è costituita parte civile con l’avvocato Alessandro Calogiuri, per il quale oggi potrebbe arrivare la sentenza.
Giulia, lei ha vissuto quasi un femminicidio, come è riuscita a salvarsi?
"Ho trovato la forza di farcela per spirito di sopravvivenza che mi è venuto dalla paura. La paura di non riavere indietro la mia via, la paura che quella persona poteva davvero uccidermi. Ho visto la morte così da vicino che mi ha dato una scossa e coraggio a denunciare".
Il suo compagno ha manifestato da subito un atteggiamento violento?
"No. Noi ci conoscevamo già dal 2000 perché avevo lavorato con lui in passato. Poi ci siamo rincontrati per caso dopo quasi 18 anni e abbiamo iniziato una relazione che è durata sette mesi. All’inizio sembrava tutto perfetto, mi ha chiesto di andare a vivere con lui così ho lasciato la mia città per trasferirmi ad Ancona. In casa sono arrivate le prime denunce fatte da sue ex compagne e io lì mi sono preoccupata. Volevo tornare a vivere a casa mia, prendermi una pausa e capire se era il caso di continuare la relazione ma lui ha iniziato a cambiare atteggiamento, a diventare violento, prospettava ripercussioni per i miei bambini, ad esempio mi minacciava di squartare mio figlio. Volevo scappare via ma avevo paura che toccasse i miei figli". Questo è servito a migliorare le cose?
"No perché poi ha iniziato a gestire lui i soldi a casa, anche quelli che guadagnavo io perché avevamo una attività che facevamo insieme. Così aveva il mio controllo sia economico che psicologico. Sono arrivate le botte, sapeva anche come picchiarmi senza far sembrare che erano percosse. Mi colpiva dietro un orecchio ad esempio. Poi è peggiorato e sono iniziati gli schiaffi e i calci ".
Quando ha messo fine a tutto questo?
"A luglio del 2018, quando ho denunciato tutto alla polizia. Il giorno prima eravamo a Sirolo in auto e lui aveva tirato fuori una corda e me l’aveva messa al collo. Stavo per morire ma sono riuscita a chiamare il 113 e lui mi ha lasciata stare. Il giorno seguente sono fuggita, ho preso un treno e ho raggiunto Senigallia dove ho chiesto aiuto ad un parente e poi al Commissariato. Da lì non sono più rimasta sola. Sono entrata in un programma di protezione dove potevo anche vedere i miei figli. Ho trovato un lavoro, ho una nuova casa e sono diventata anche nonna". Un consiglio alle donne vittime come lei?
"Andate via al primo schiaffo anche se i vostri compagni tornano pentiti e in lacrime. La giustizia è stata vicina a me, ce l’ho fatta grazie alla polizia e al mio avvocato".