"Ballo, ballo, ballo senza respiro"

"Ballo, ballo, ballo da capogiro. Ballo, ballo, ballo senza respiro", "Pedro Pedro Pedro Pedro Pe, praticamente il meglio di Santa Fe", "Mi è sembrato di sentire rumore, rumore". Alzi la mano chi non ha letto queste parole cantando. E magari muovendo anche un po' la testa a tempo. Quella che rappresentava Raffaella Carrà era proprio questo: un'Italia che cantava e muoveva la testa a tempo. Era un'Italia nella quale "Il mio corpo è una moquette dove tu ti addormenterai" non era una frase analizzata e sezionata, ma soltanto cantata e ballata. Un'Italia nella quale la rivoluzione dei costumi passava anche dalla musica. Leggera. Anzi leggerissima, come direbbero Colapesce e Dimartino. "Ballo, ballo, ballo senza respiro": già, balliamo. Balliamo anche noi fino a perdere il fiato, inventiamoci i passi. "Perché il mio ombelico piaceva così tanto? "Perché è un ombelico alla bolognese" mi diceva mia mamma" aveva più volte raccontato Raffaella Carrà. Simbolo di una rivoluzione portata avanti senza malizia, forse senza neanche l'intento di essere davvero rivoluzionaria. Eppure, o forse proprio per questo, con una forza dirompente. Una rivoluzione nel segno della leggerezza, dell'allegria, della musica, del ballo. Della testa che si muove a tempo. Una sensazione che Raffaella Carrà ci ha donato e che noi dovremmo essere bravi a rendere eterna. Quanto questa icona pop è stata, è e sarà.