Non c’è solo il caro energia a mettere in difficoltà le imprese italiane. C’è anche l’inefficienza della pubblica amministrazione e la pressione fiscale, fattori strutturali che frenano l’economia e che fanno sentire il loro peso ancora di più nel momento attuale. È questo il quadro che il diciassettesimo rapporto annuale "Imprese nell’Età del chilowatt-oro" di Confartigianato dipinge per l’Italia. Un quadro nel quale, ovviamente, il centro della scena è occupato dalla crisi energetica.
Per capire la gravità del problema basta qualche numero. Dopo il 45% registrato a settembre, a ottobre il tasso di inflazione energetica ha toccato il 71,7% annuo, un dato superiore di oltre 30 punti rispetto alla media Ue (41,5%), il peggiore di tutta l’Unione Europea dopo i Paesi Bassi, che hanno segnato il +99,7%. Come si legge nel rapporto, "la ricaduta della corsa dei prezzi dell’energia sui bilanci di imprese e famiglie è di entità straordinaria". La stima è che, nel 2022, il costo dell’elettricità per le piccole e le micro aziende, ovvero fino a 49 addetti, sia cresciuta di 18 miliardi di euro rispetto all’anno precedente mentre il costo del gas è aumentato di 5,9 miliardi. In totale, quindi, il caro bollette per questa categoria di imprese raggiunge i 23,9 miliardi di euro, un incremento che pesa per il 6,1% del valore aggiunto creato. Per l’Italia, "paese leader europeo per la presenza di micro e piccole imprese", prosegue il rapporto, questo costituisce un "pesante impulso recessivo".
Nel complesso, la bolletta energetica nazionale ha sfondato i 100 miliardi di euro, attestandosi a 104 miliardi, ovvero il 5,4% del prodotto interno lordo (Pil). Si tratta di un peggioramento che, dallo scoppio della guerra in Ucraina alla fine di febbraio, vale il 2,4% del Pil e il 3,5% in un anno. In dodici mesi, gonfiate certamente anche dall’effetto prezzi, le importazioni di energia sono cresciute di 83,4 miliardi di euro, in aumento addirittura del 177,3%, toccando la cifra di 130,4 miliardi di euro. "Il forte aumento dei prezzi dell’energia sui mercati internazionali" si legge nel rapporto, "associato al rafforzamento del dollaro sui mercati valutari, ha dilatato ‘la fuga di Pil’ mediante il canale del commercio estero". Da un’analisi settoriale, che considera il peso della spesa per l’energia sul fatturato, emerge che i comparti più esposti sono 43, nei quali operano 881mila imprese (19,9% del totale) con meno di 49 addetti per un totale di 3milioni e 529mila lavoratori (pari al 20,6%). A incidere sul tessuto produttivo, inoltre, c’è anche la tassazione elevata sull’energia, con il prelievo fiscale che supera del 51,1% la media europea. Tassazione che, tra l’altro, non rispetta il principio ambientale stabilito dalla Ue "chi inquina paga": in Italia si registrano emissioni per abitante inferiori del 27% rispetto a quelle della Germania, mentre si pagano imposte superiori del 67,9% rispetto a quelle prelevate sui consumi di imprese e famiglie tedesche.
Il nostro Paese risulta inoltre molto dipendente dal gas per generare elettricità: a luglio il 53,9% dell’energia elettrica è prodotta con il gas, contro una media del 20,2% dei Paesi europei più avanzati. Ma il rapporto stilato da Confartigianato mette in luce anche i punti di forza dell’economia italiana. Rispetto ai livelli pre pandemia la performance del nostro Paese è stata migliore rispetto a quella di altri partner europei. Nel 2022, la produzione manifatturiera ha recuperato completamente (+0,7%) sul 2019, mentre scontano ancora dei ritardi sia la Francia (-4,6%) e la Germania (-4,5%). Per quanto riguarda i singoli settori, quello delle costruzioni, anche grazie ai vari bonus edilizi introdotti negli ultimi due anni, ha segnato una crescita record (+25,7% sul 2019 contro il -4,5% francese e il +3% tedesco). Sul comparto dei trasporti, invece, pesa il "decoupling" (disaccoppiamento) tra i prezzi della benzina e quelli del gasolio: al 15 novembre il prezzo di quest’ultimo per autotrazione, al netto delle tasse, è cresciuto del 63,3% (dall’inizio della guerra +42,2%) su base annua contro il +30,8% della "verde" (+14,9%). Sul futuro, per Confartigianato, si addensano diverse incognite: la stretta monetaria, i vincoli della politica di bilancio tra pressione fiscale, spesa e debito pubblico, a cui si associano una bassa qualità dei servizi della pubblica amministrazione. Lo spread fiscale tra Italia ed Eurozona è pari all’1,9% del Pil, mentre ci collochiamo è al quarto posto per il rapporto tra spesa pubblica e Pil (54,1% contro 49,8%), al 24° posto per qualità servizi pubblici (37% li giudica positivamente contro il 52% Ue) e al 26° per fiducia verso Pa (31% rispetto al 50%). All’opposto, l’Italia sale al primo posto per peso sul Pil dei debiti commerciali della Pa nei confronti delle imprese.