Caro energia, la manifattura italiana regge meglio che quella europea

Dai dati raccolti da Confartigianato emerge che in Italia i prezzi alla produzione sono aumentati ad agosto del 12,7% contro il 13,8% della media Ue

Sorpresa: nonostante i forti rincari di materie prime ed energia, in Italia i prezzi della manifattura aumentano meno che altrove. Ad agosto, quando il gas quotava oltre i 300 euro al megawattora, i prezzi alla produzione delle industrie italiane hanno registrato una crescita del 12,7% su base annua (il doppio rispetto al +6,4% segnato nel 2021) contro il +13,8% della media Ue e il +13,6% dell’Eurozona. Ma il nostro Paese ha messo a segno numeri migliori anche nei confronti di Spagna (13,3%), Francia (13,2%) e Germania (13,1%). I dati raccolti da Confartigianato delineano un quadro in chiaroscuro. Sebbene la situazione italiana sia leggermente migliore nei confronti internazionali, non va dimenticato che lo scenario attuale è piuttosto fosco.

Sui costi delle imprese, infatti, incidono i prezzi, ormai fuori controllo, delle commodities: a settembre le quotazioni dell’energia hanno registrato un aumento rispetto all’anno scorso del 74,4%, mentre le materie prime del 21,5%. Entrando nel dettaglio dello studio di Confartigianato, emerge che in otto comparti si mostrano aumenti superiori alla media: carta +28,1 %, chimica +26,0%, vetro ceramica cemento +22,9%, alimentare +16,8%, metalli +15,1%, gomma e materie plastiche +14,6%, metallurgia +13,9% e tessile con il +13,5%. Tutti settori definiti energivori, che utilizzano grosse quantità di energie e sui quali i prezzi impazziti di gas ed elettricità pesano di più. Tra le 181 classi manifatturiere, 62 che rappresentano il 37,2% dell’occupazione industriale segnano un aumento dei prezzi alla produzione inferiore al 10%. Altre 79 classi, invece, con oltre la metà (52,7%) dell’occupazione totale registrano un aumento tra il 10 e il 20%, mentre le restanti 40 classi, con il 10,1% dell’occupazione, segnano incrementi superiori al 20%.

Tra i comparti più in sofferenza c’è l’edilizia. Ad agosto, i nuovi fabbricati mostrano un aumento dei prezzi di produzione pari all’8,1%, aumento che supera il +5,0% di un anno prima: i fabbricati residenziali sono a +8,7% e quelli non residenziali a +7,9%. Come sottolinea l’Istat, sulle costruzioni influiscono "gli aumenti dei costi di alcuni materiali". Ad esempio, il prezzo alla produzione di nuove strade e ferrovie sale dell’8,5%. Ma anche i servizi risultano colpiti dalla crisi energetica. Nel secondo trimestre del 2022 le tensioni più accentuate si osservano in alcuni comparti della logistica, a causa degli incrementi dei prezzi del gasolio: nel trasporto marittimo e per vie d’acqua i prezzi alla produzione crescono del 42,5%, mentre in quello aereo del 26,5%. Seguono il trasporto di merci su strada e servizi di trasloco con una crescita del 9,7%, il noleggio di autoveicoli (+7,3%) e magazzinaggio e custodia (+5,2%).

Ma non sono solo i prezzi ad aumentare. Come ricorda un’altra nota di Confartigianato, anche la pressione fiscale cresce e raggiunge quest’anno il suo massimo storico al 43,9% del Pil, in aumento di 0,5 punti rispetto al 2021. I numeri contenuti nella Nadef licenziata a fine settembre dal governo evidenziano che il carico fiscale dovrebbe tornare a scendere (per la prima volta dal 2018) nel 2023, collocandosi al 43,4% (-0,5 punti) e nel 2024 (42,5%, -0,9 punti), valore su cui si stabilizza nel 2025. Ad aumentare le entrate dello Stato ha contribuito l’inflazione. La crescita dei prezzi energetici e al consumo ha infatti gonfiato il gettito dell’Iva: nel complesso le imposte indirette sono cresciute dell’8%, pari a 20,7 miliardi di euro. Sull’andamento favorevole del gettito ha influito anche il ritorno a ritmi ordinari della riscossione, dopo le sospensioni dei pagamenti adottate a partire dal 2020. Nel complesso, quest’anno le entrate tributarie sono cresciute di 41,5 miliardi di euro (+7,9%) mentre quelle contributive - sostenute dal buon andamento dell’occupazione dipendente che nei primi otto mesi dell’anno è cresciuta del 3,1% - di 19,3 miliardi (+7,9%). Tuttavia, va ricordato che i dati sulla pressione fiscale sono in parte falsati dal fatto che alcune agevolazioni sono classificate, e quindi contabilizzate, come spesa: nel 2021 si tratta di 30,8 miliardi di euro. Insomma, la pressione fiscale è più bassa di quanto sembri. Per quanto riguarda il confronto internazionale, le previsioni di primavera della Commissione europea evidenziano che il tax burden, ovvero il carico fiscale, che grava sui cittadini e sulle imprese italiane è pari al 43,3% del Pil, superiore di 1,8 punti al 41,5% della media dell’Eurozona. Il nostro Paese è al quarto posto in Unione europea per pressione fiscale, al terzo se si considera l’ammontare del prelievo sui consumi di energia e al primo se si guarda alla tassazione sul lavoro, il famoso cuneo fiscale.