Correnti in pressing su Letta, lui tentenna

Quasi tutte le anime del Pd d’accordo. L’ex premier è tentato di accettare ma non vuole un incarico a tempo: congresso solo nel 2023

Enrico Letta

Enrico Letta

di Ettore Maria Colombo

Di sicuro è preoccupato per la situazione in cui versa il Pd, partito che ritiene un architrave del governo Draghi, come per la crisi pandemica e sociale che vive la sua Italia. Non chiede "pieni poteri", come già girava voce ieri, dentro il Pd, ma è impensabile che possa essere un “re Travicello”. Se Enrico Letta diventerà segretario del Pd, grazie all’accordo tra tutte (o quasi) le correnti sul suo nome, la sua sarebbe una segreteria piena e pienamente operativa. Traguarderebbe, cioè, il Pd alle elezioni amministrative che si terranno in autunno, ma anche alle elezioni per il nuovo Capo dello Stato (febbraio 2022), a eventuali elezioni anticipate e, di fatto, verso la fine della legislatura come del mandato naturale del suo incarico di segretario. Due date che, fissate a inizio 2023, forse casualmente, coincidono.

Letta aveva lasciato la tessera del Pd quando Renzi ne divenne segretario, per riprenderla solo quando Zingaretti lanciò la sua corsa. Letta prese la tessera e votò Zingaretti, come ricordano i compagni di Testaccio, quartiere romano dove l’ex premier vive. Nel Pd dicono già che Letta sia "lusingato" si faccia il suo nome come segretario unificatore di un Pd di cui è stato uno dei padri fondatori, ma Letta – dice chi lo conosce – "ce l’ha già, un lavoro". L’ex premier, infatti, è pieno di impegni. Presidente dell’Arel, vicepresidente dell’Aspen e di altre associazioni, ieri ha passato la giornata a Parigi come al solito tra lezioni alla Grande Ecole Sciences Po di Parigi, dove insegna dal 2015, e chat sulla nuova didattica di Macron.

Una giornata normale, però, quella di ieri, non è stata per l’ex premier di larghe intese (l’ultimo, prima di Draghi). Nel Transatlantico di Montecitorio è scoppiata, come una bomba deflagrante, l’ipotesi che proprio Letta possa diventare il nuovo segretario che il Pd eleggerà, domenica prossima, nell’Assemblea nazionale. Assemblea che durerà un giorno solo, e non due, e si svolgerà sotto forma di webinar (cioè da remoto). Se, invece, non si trovasse l’intesa su Letta, l’Assemblea potrebbe anche slittare alla settimana successiva per mancanza di accordo. Il che, ovviamente, vorrebbe dire aprire l’ennesimo, infinito, psicodramma di casa dem. A ieri, tutte le correnti del Pd non erano infatti d’accordo su un nome comune che, con Letta, tanto comune non è.

La proposta di Letta scaturisce da un confronto tra Dario Franceschini (Area dem) e Andrea Orlando (Dems), cioè il centro e la sinistra interna, con il placet di Zingaretti. Anche se l’area Zinga puntava su altre soluzioni (Anna Finocchiaro o Beppe Provenzano). Invece, scettici, ‘freddi’, sono le minoranze interne: Base riformista (capitanata da Guerini e Lotti), Giovani Turchi (Orfini) e altre aree (Delrio) preferivano la soluzione donna (Roberta Pinotti, Area dem). I maggiorenti delle tre minoranze, interpellati, si limitano a dire "aspettiamo che la maggioranza ci faccia una proposta formale. Per ora le voci su Letta, che stimiamo, sono solo voci". Stefano Bonaccini, il governatore emiliano più volte indicato come interessato a una corsa per la segreteria in quota minoranze, alla voce su Letta ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte: "Sarebbe un nome autorevole, ma serve un congresso al più presto. Io candidato? Vedremo".