Contagi Covid infermieri e medici, l'allarme: "In un mese +210%"

Fnopi: "Di questi 7.160 (l'82%) sono infermieri"

Allarme dei sindacati sui contagi tra gli infermieri

Allarme dei sindacati sui contagi tra gli infermieri

Roma, 3 gennaio 2022 - Sono già 135mila gli infermieri contagiati dall’inizio della pandemia. E in appena un mese c’è stato un aumento esponenziale del 210% degli operatori sanitari contagiati (di questi l’82% sono infermieri).

L'allarme contagi

L’allarme è della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) che, rifacendosi ai numeri forniti dall’Istituto superiore di sanità, ricorda che gli operatori sanitari colpiti dal Covid erano 4.142 il 2 dicembre 2021 e sono balzati a 12.870, +8.728 (+210%) in appena 30 giorni, il 2 gennaio 2022, triplicando i contagi. Di questi circa 7.160 sono infermieri.  In tutto 135mila sono risultati contagiati da inizio pandemia. 

Per la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche, “la prima cosa da fare è assicurarsi che tutti siano vaccinati, anche perché l’evidenza mostra che i casi più gravi nelle terapie intensive, sono quasi tutti non vaccinati. Ma non basta. Tutti devono capire che vanno mantenute le misure di sicurezza che rallentano la diffusione del virus. Questo vale per tutti - aggiunge la Fnopi - ma per le istituzioni che programmano l’assistenza, in questo momento di vitale importanza, ribadiamo una ricetta semplice per non lasciare solo nessuno. Ricetta che a quanto pare, però, non vuole essere ascoltata e compresa. Chissà per quali ragioni, visto il ruolo determinante degli infermieri nella pandemia sotto gli occhi di tutti. Dopo averci definiti eroi, senza capire che quello è il nostro lavoro di tutti i giorni, dopo averci applauditi e premiati con bellissime parole, con pochi passi sarebbe ora di passare ai fatti, per rendere più forte, sicura e di qualità l’assistenza”.

Le richieste

Tre sono i passi a breve, medio e lungo termine - spiega la Fnopi - per dare forza all’assistenza: eliminare lacci e lacciuoli di una burocrazia barricata dietro il muro dell’incompatibilità che bisognerebbe abbattere per far fronte alla carenza, gravissima, di professionisti, che non consente oggi di mettere a disposizione dell’assistenza almeno 600mila ore a settimana in più di assistenza infermieristica, vitale per il territorio, i pazienti Covid, ma soprattutto per i non Covid, che si sono trovati soli nella pandemia".

"Il secondo e il terzo passo sono per il medio e lungo periodo - prosegue la Federazione - e riguardano la necessaria formazione di più operatori, soprattutto specializzati prevedendo una formazione con sbocchi anche clinici determinati dalle esigenze delle persone, per garantire la qualità dell’assistenza: infermiere di famiglia e comunità, infermiere scolastico, infermiere per la non autosufficienza, per le cure palliative, per l’assistenza agli anziani, per i cronici che ne hanno bisogno per la loro vita di tutti i giorni e così via. Serve che siano aumentati, gradualmente, i posti a bando nelle Università per gli infermieri e che per farlo sia previsto anche di aumentare il numero di docenti-infermieri in grado di garantire la giusta formazione di qualità”. 

I ritardi

“Sono cose che avevamo chiesto di inserire nella legge di Bilancio 2022 - denuncia la Federazione -  che non avrebbero creato difficoltà al sistema, ma nessuno ha voluto ascoltare, tranne i senatori di maggioranza e opposizione, che gli oltre 456mila infermieri iscritti agli albi (il 60% circa del personale sanitario del Ssn) ringraziano per aver presentato gli emendamenti, caduti poi nel nulla. Infine - aggiunge la Fnopi - un riconoscimento nei fatti e non a parole per chi non ha lasciato mai solo nessuno e ancora oggi come sempre, rischia la propria salute per mettere in primo piano quella delle persone: l’indennità di specificità infermieristica, già finanziata nella legge di Bilancio 2021 e quindi senza bisogno di ulteriori oneri, che è stata agganciata a un contratto la cui applicazione definitiva non è certo imminente. Anche per questo avevamo sostenuto un emendamento che avrebbe consentito di assegnare l’indennità, già percepita dalla dirigenza sanitaria a inizio 2021, con cui chi sta lavorando ormai da due anni senza sosta avrebbe potuto, almeno in via transitoria e lasciandone la regolamentazione definitiva al contratto come prevede la norma, avere un minimo riconoscimento tangibile”.

Il burnout degli anestesisti

Intanto Antonino Giarratano, presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione Terapia Intensiva (Siaarti), fa luce su un nuovo tipo di burnout si diffonde tra gli anestesisti rianimatori italiani, alle prese con un aumento di ricoveri in terapia intensiva, che spesso riguardano persone del mondo negazionista o no vax. Si tratta di una "usura piscologica" legata alla "negazione del proprio ruolo e competenza", commenta Giarratano, riferendosi al documento "Pandemia e rifiuto dei trattamenti di supporto vitale", pubblicato dalla società scientifica sul portale online.

Le tematiche correlate alla tutela della salute del paziente e della sua autodeterminazione nel prestare o negare il proprio consenso a trattamenti terapeutici spesso salvavita, precisa Giarratano, "devono porre all’attenzione di tutti il tema del burnout professionale, cioè di quella ‘usura psicologica' che in questi ultimi mesi è cresciuta in modo esponenziale tra gli anestesisti rianimatori, che nelle terapie intensive hanno affrontato la pandemia così carica di sofferenza e morte.

Alla ‘usura professionale', che fa parte della professione, si è infatti aggiunta una ‘usura da negazione della correttezza del proprio ruolo e competenza' messa in atto durante il periodo pandemico, spesso con minacce anche di azioni legali". Si tratta, conclude Giarratano, "di una criticità inattesa e gravissima che rischia di creare un pericoloso vulnus tra paziente e medico, rischiando di determinare l’allontanamento anche dei giovani da una professione che oggi e ancor più domani necessiterà invece di crescente impegno".