La guerra fa tremare i panificatori di zona Rincari e chiusure, sarà una primavera nera

Il prezzo del filetto da mezzo chilo potrebbe schizzare a due euro. Panchetti (Cna): "Molti non ce la faranno a compensare i costi"

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La pandemia Covid ha dato il primo scossone, portando i costi energetici e quelli delle materie prime alle stelle. Adesso la guerra in corso potrebbe dare la mazzata finale al settore agroalimentare. Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina stanno per abbattersi sul prezzo degli alimenti alla base della piramide alimentare italiana e non solo. A farne le spese sarà principalmente l’esportazione dei principali cereali — grano, mais e soia — e tutto l’indotto di prodotti derivati da queste coltivazioni: pane, pasta, farine e oli. I numeri parlano chiaro e preoccupano gli oltre 70 panificatori dell’Empolese Valdelsa, per il 73% artigiani. "In un solo giorno, il 24 febbraio, subito dopo l’invasione dell’Ucraina, le quotazioni del grano sono cresciute del 5,7%, raggiungendo i 9.34 dollari a bushel - fa sapere Andrea Panchetti, presidente dei dolciari e panificatori di Cna e artigiano locale con lo storico panificio di famiglia a Castelfiorentino -. Solo nei tre giorni successivi il costo della farina di grano tenero è aumentato del 10%. Una crescita che, andandosi a sommare agli incrementi di materie prime già registrati a partire dalla fine del 2021 e all’impennata dei costi energetici, sta rendendo antieconomica la produzione".

Le conseguenze potrebbero essere drammatiche: rincari del prodotto finale per i consumatori e chiusura di molte attività a conduzione familiare. "Dovremmo rialzare i prezzi, ma portare a due euro un filetto da mezzo chilo che ora, dopo la prima ondata di rincari, costa 1,80 euro quando a giugno ne costava 1,50, è improponibile – spiega Panchetti -. Ancora più complicata la situazione per i fornitori della grande distribuzione organizzata. "Per molti di loro – va avanti il presidente della categoria - si prospetta la sospensione dell’attività, non solo per mancanza di marginalità, ma anche per difficoltà nella copertura dei costi d’impresa: personale, materie prime, energia, solo per citare alcune voci. E’ paradossale per un comparto che offre lavoro e in cui la domanda esiste". Nei rapporti commerciali con l’Ucraina, spiega un’analisi di Cna, il settore agroalimentare risulta quello più colpito essendo il secondo fornitore del Paese dopo la Polonia. Sul lato delle importazioni, il nostro Paese acquista soprattutto olii grezzi di girasole, frumento tenero e il mais per il quale Kiev è il nostro secondo fornitore assicurando una quota superiore al 20% del nostro fabbisogno. Le nuove sanzioni nei confronti della Russia produrranno notevoli impatti, ben superiori al valore dell’interscambio a causa della profonda interconnessione dell’economia globale.

Chi ha aperto la propria attività venti anni fa si è visto praticamente raddoppiare tutto: un chilo di farina costava 0,45 euro, ora ne costa 0,95 euro; mentre i prodotti, in proporzione, non sono aumentati. Se si cercano farine più importanti si arriva anche a 1,10-1,20 euro al chilo. Un ottimo burro che costava 7 euro è andato a 15. Per l’energia elettrica, i costi sono triplicati. Lo scenario è più che mai incerto. C’è anche chi pensa di andare verso la qualità estrema, in modo da non avere concorrenza. Ma in questo caso c’è bisogno di fare investimenti, di scommettere, e chi se le sente in questo momento storico? Ma se il comparto alimentare preoccupa, anche altri settori sono in fibrillazione. La Russia assorbe circa l’1,5% dell’export italiano per un valore nel 2021 di 7,7 miliardi, ma rappresenta il 2,5% di tutte le esportazioni della moda e il 3,1% dai mobili, nonché il 2,6% della meccanica, che vale il 28% delle vendite italiane in Russia. La Russia, inoltre, è un mercato rilevante per i flussi turistici.

Irene Puccioni