Bologna, 10 marzo 2015 - Un imprenditore, quattro dipendenti e un concetto di filiera così sviluppato. Sergio Tonioni, fondatore e titolare della Tonioni srl, ci mette la faccia: prende la commessa di una macchina automatica su misura, da costruire ‘addosso’ all’azienda committente come l’abito sui fianchi della sposa. Presenta il progetto, fissa prezzo e data di consegna e assicura una certa qualità. Quindi, tornato in azienda, mette in moto la filiera. Che è fatta di decine di aziende, artigiani e partite Iva bolognesi, dai meccanici ai softweristi, ognuno maestro del proprio campo. La sinfonia parte e continua in crescendo, fino al gran finale. VIDEO
Tonioni, e se qualcuno stecca?
«Considerato che sono io a metterci la faccia e a risponderne in proprio, faccio di tutto perché non accada».
Come?
«Scelgo le aziende migliori e gli artigiani più capaci, partendo dal presupposto che ciò che distingue un’azienda artigianale da una grande impresa è l’estrema specializzazione. Ognuno, qui, è mago nel proprio campo».
E se non tutti tengono il tempo?
«Fare tenere il tempo, se permette, è il mestiere del direttore d’orchestra».
L’unico?
«Eh no, a noi compete tutto ciò che non è produzione: la parte commerciale, la promozione, l’innovazione, la ricerca, e poi, per ogni macchina, la progettazione, il coordinamento, l’assemblaggio e l’assistenza al cliente».
Soddisfazione finale?
«Alta. I nostri clienti sono fidelizzati».
Come li convincete?
«Vede, noi non vendiamo prodotti finanziari, che se non vanno bene puoi dare la colpa alla Borsa o alla crisi. Facciamo macchine, e la macchina ha da andèr, c’è poco da discutere».
Un’azienda di quattro persone, in una terra di giganti delle macchine automatiche.
«Non possiamo e non vogliamo competere con Gd, Ima, Marchesini. Ci accontentiamo delle nicchie: macchine automatiche speciali, su misura. Abiti da sartoria, appunto. Per i loro grandi numeri sarebbero una perdita di tempo. Per noi l’estrema specializzazione è una ragione di vita».
Come si diventa sarti di macchine automatiche?
«La mia formazione meccanica, come per molti da queste parti, deriva dalle scuole Belluzzi-Fioravanti. Ho lavorato come dipendente per due grosse aziende della zona, l’attuale Siliconeurope e l’Arcotronics, oggi Kemet. Per loro ho fatto l’artigiano, il meccanico, il manutentore, finché non mi hanno chiesto di ingegnerizzare una macchina automatica che non trovavamo sul mercato. Ho detto: ‘Progettiamola noi, poi facciamo realizzare i singoli pezzi, quindi l’assembliamo’. Ha funzionato. Ed eccomi qua».
Si è licenziato: come l’hanno presa?
«Direi bene: le due aziende per cui ho lavorato sono stati i primi miei due clienti. E lo sono tuttora».
Nel frattempo è diventato padrone.
«Ma so cos’è il lavoro di squadra. E a fine anno, il giorno di Natale, ci sediamo a un tavolo e, se siamo stati bravi, visto che il merito è collettivo, c’è un premio di produzione per tutti».