Urne chiuse, via al risiko del Colle. I politologi: meglio Draghi premier

Il presidente del Consiglio paragonato dai francesi a De Gaulle? I dubbi degli osservatori italiani. Fabbrini (Luiss): "La priorità è il Pnrr". Orsina: "Ma può essere l’inizio di un semi-presidenzialismo"

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di Raffaele Marmo

 

Chiuse le urne e archiviati i risultati di questo turno elettorale che lascia sul terreno vincitori e vinti in maniera netta, si apre il vero "grande gioco", quello del Quirinale. Una partita che da qui a febbraio terrà occupati e preoccupati leader e retroguardie come nessun altro risiko politico avvincente e decisivo: dall’esito del lungo match dipenderà l’assetto del potere italiano del decennio, e non solo di quello istituzionale. Ma se la posta in gioco è delicata e radicale insieme, il primo nome in ballo come prossimo presidente della Repubblica ha (avrebbe), sulla carta, la forza per imporsi da subito, determinando la chiusura del cerchio in modo rapido: ci riferiamo, come è implicito, a Mario Draghi.

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Il punto dirimente, però, è che se, Oltralpe, editorialisti, giornali (da Le Point al Figaro, a Le Monde) e analisti di primo piano lo vedono, con ammirazione, proiettato a diventare il De Gaulle italiano, i nostri politologi e osservatori più avveduti si mostrano, invece, scettici e perplessi rispetto a una parabola che porti l’ex numero uno della Bce a trasformarsi nel demiurgo di una nuova Repubblica, sul modello della Quinta francese, plasmata dal Generale nel ’58. E, anzi, al dunque, intravedono tali e tanti ostacoli, rischi, freni, da ritenere implicitamente o esplicitamente preferibile che il premier resti a garantire da Palazzo Chigi la regia e la tenuta di questa fase di grave debolezza dei partiti, con l’obiettivo che il suo mandato possa andare anche oltre le elezioni del 2023.

E così se il principe dei commentatori Alain Duhamel in un’intervista al nostro giornale spiega che "De Gaulle rimise in piedi la Francia: possiamo dire che Mario Draghi sta facendo la stessa cosa con l’Italia", Alessandro Campi, Professore di Scienza politica a Perugia, puntuale osservatore dell’Italia politica, avvisa: "Quella di Draghi-De Gaulle è una suggestione e basta. Perché abbia un senso dovremmo immaginare l’attuale Presidente del Consiglio che, una volta eletto al Quirinale, si metta a capo di un processo costituente che implichi la revisione in chiave semi-presidenziale della nostra Costituzione. Mi sembra un po’ astratta come ipotesi. A meno di un nuovo regime di fatto, che sarebbe, però, uno sbrego istituzionale come lo chiamava Gianfranco Miglio. La mia impressione è che stiamo caricando Draghi di troppe aspettative". Meglio che rimane dove è, dunque? "Per una serie di veti incrociati – avverte Campi – e di preferenze per una figura terza al Quirinale non andrà Draghi e non vi resterà Mattarella. Penso che Draghi al Colle faccia paura a molti".

Va oltre, ma sulla stessa linea, Sergio Fabbrini, decano di Scienze politiche, direttore della Luiss School of Government, già docente a Berkeley: "Non mi pare, parlando in astratto, che Draghi abbia le caratteristiche che possano farlo assimilare a un personaggio come De Gaulle. Rispetto al bivio Quirinale o Palazzo Chigi, entrambe le soluzioni avrebbero una loro ragionevolezza. Draghi al Quirinale vorrebbe dire ancoraggio europeo per sette anni dell’Italia, ma il capo dello Stato non ha funzioni operative. Mentre Draghi presidente del Consiglio è indispensabile per portare avanti il Pnrr, anche se nel 2023 potrebbe trovarsi fuori da tutto".

Solleva un altro nodo primario Giovanni Orsina, politologo dei più acuti, professore alla Luiss: "Draghi ha in comune con De Gaulle più punti: è presidente del Consiglio per un fallimento delle forze politiche tradizionali in un’emergenza, ha una base di potere personale, che prescinde dai partiti e se andasse al Quirinale potrebbe mettere le basi per una torsione semi-presidenzialista del sistema, non necessariamente passando per una riforma costituzionale, anche solo utilizzando i poteri a fisarmonica del presidente. Il nodo, però, è che De Gaulle aveva un carisma popolare, Draghi trae la sua forza da una carriera tecnocratica, dai rapporti internazionali. Il problema di come ricucire e di come tornare in una dimensione di fisiologia democratica si porrebbe".

Chiude con una nota senz’appello Claudio Velardi, spin doctor di lungo corso: "Draghi sarebbe anche meglio di De Gaulle, ma al Quirinale non avrebbe i poteri per fare De Gaulle. Mentre oggi è indispensabile che lui porti avanti riforme e Pnrr e queste cose si fanno da Palazzo Chigi. Non ci sono, per di più, le condizioni politiche perché Draghi vada al Quirinale: fanno tutti finta di volerlo. Semmai, conterebbe enormemente di più che rimasse alla guida di un governo Ursula anche dopo il 2023. Occupiamoci di questo".