"Via da Kiev con l'ultimo pullman poco prima delle bombe": 32 ore di viaggio, la paura

Alessia, da 12 anni qui, nel giorno della tragedia ha preso un mezzo che l'ha riportata ad Arezzo. «Un incubo, case sventrate e famiglie nascoste nelle cantine»

Cittadini ucraini in fuga dalla guerra

Cittadini ucraini in fuga dalla guerra

Arezzo, 27 febbrao 2022 - Ha lasciato l’Ucraina mezzora prima delle bombe russe. Il piano era: «Accompagno mia madre ad Arezzo, la affido a una persona che l’assiste e torno a Kiev ad aiutare la resistenza delle persone che si oppongono al disegno di Putin: ‘denazionalizzare’ il paese, sbarazzarsi degli ucraini per poi far entrare i russi, come già fatto in Crimea».

Alessia ha 43 anni e dal 2010 vive e lavora ad Arezzo dove è tornata dopo quattro mesi passati nella casa di famiglia, nel centro di Kiev, ad accudire Maria, la madre 72enne «che dopo il Covid ha avuto due ictus ed è stata ricoverata in ospedale».

Alle 4 di giovedì ha varcato il confine tra Ucraina e Polonia a bordo di un pullman diretto in Italia, un viaggio di 32 ore «sempre in contatto con familiari e amici che mi aggiornavano su cosa stava accadendo. Sono sconvolta e in lacrime per il mio amato paese. Volevo tornare subito lì ma l’invasione russa è arrivata prima e ora è rimasto solo un varco a ovest ma non ci sono mezzi che vanno ad est, a Kiev».

Alessia racconta che già «a ottobre si percepiva il rischio di un colpo di stato da parte di Putin per rovesciare Zelensky, leader democraticamente eletto che da due anni stava facendo cose importanti». Il cellulare è il «ponte» con Kiev che Alessia tiene sempre aperto: sulle chat riceve video e testimonianze di «amiche e vicine di casa che descrivono terrorizzate la violenza dell’esercito russo sulla popolazione» e il coraggio degli ucraini. «Imbracciano armi, vanno a difendere il proprio paese, come sta facendo Zelenksy, rimasto accanto al popolo che non si sente abbandonato, reagisce e lo farà fino alla fine.

La mia casa a Kiev è ancora in piedi e nel palazzo sono rimaste sei famiglie ma so che in una parte della città ci sono case sventrate dalle bombe. La gente vive sottoterra, conosco un orfanotrofio con oltre cento bambini costretti a stare negli scantinati. Bisogna chiudere lo spazio aereo sopra l’Ucraina in modo che i russi non possano più trasportare militari che si paracadutano nelle città e nei villaggi per seminare morte e distruzione».

Alessia non vuole restare con le mani in mano e lancia un appello «a onlus, associazioni aretine disponibili a lavorare per aprire un corridoio sanitario con l’Ucraina, mobilitando anche medici per portare in salvo anziani e persone malate, ci sono molti bambini negli orfanotrofi che rischiano la vita se restano in quell’inferno.

Servono anche cibo e medicine per i nostri militari; chiedo agli aretini un aiuto concreto per il mio popolo: fino a qualche giorno fa nessuno avrebbe mai pensato che Putin potesse spingersi a tanto», incalza Alessia che proprio nella mobilitazione da Arezzo ha trovato il senso all’impossibilità di tornare a Kiev.

«Se non posso andare là, vuol dire che posso aiutare anche da qui. Le donne ucraine combattono al fianco dei loro mariti e dicono: questa è la mia terra e questa è anche la mia guerra. Io farò la mia parte da qui».