Ascoli: addio al direttore sportivo Giaretta, l’architetto del disastro sfiorato

L’addio del dirigente dopo due anni con molte più ombre che luci. Voleva alzare l’asticella, per fortuna (del Picchio) che Aramu non ha affondato il colpo da serie C

Cristiano Giaretta, ex direttore sportivo dell’Ascoli

Cristiano Giaretta, ex direttore sportivo dell’Ascoli

Ascoli, 15 luglio 2018 - Un giorno disse che Francesco Bellini si sarebbe potuto comprare la Sicilia intera, se avesse voluto. Parole di così evidente cattivo gusto che sembrava impossibile fossero state pronunciate da quel direttore sportivo apparentemente inappuntabile.

Era il 15 dicembre 2017, e Cristiano Giaretta non aveva ancora dato il peggio di sé. Ma quella frase sulla Sicilia, in risposta all’ex allenatore Mario Petrone appena diventato timoniere del Catania, per molti fu un primo campanello d’allarme.

Che non fosse realmente come cercava di mostrarsi si capì anche il 22 febbraio scorso, quando fu Bellini a umiliarlo in modo del tutto involontario durante una conferenza stampa: “Giaretta mi viene dietro da sei mesi per il contratto - disse l’ex patron -, lui vuole altri due anni ma io ho sempre rinviato. Poi ad agosto abbiamo deciso e solo negli ultimi giorni il contratto è stato depositato”. Peraltro con un rinnovo di un solo anno. Quelle parole misero a nudo l’hombre vertical di Vicenza nella versione di questuante e petulante in pressing sul miliardario che non aveva troppa voglia di prolungargli il rapporto di lavoro.

Ma sul fatto che non andasse mai sopra le righe grazie al suo inappuntabile savoir faire nessuno aveva avuto dubbi. Fino al 20 marzo, quando il giudice sportivo descrisse così il suo comportamento nell’intervallo di Ascoli-Ternana di tre giorni prima: inibito fino al 10 maggio “per avere, al termine del primo tempo, negli spogliatoi, assunto un atteggiamento intimidatorio nei confronti di un assistente impedendogli di entrare nel proprio spogliatoio e rivolto, allo stesso, espressioni gravemente ingiuriose, reiterando tale comportamento anche nei confronti del direttore di gara oltre ad indirizzargli epiteti gravemente ingiuriosi”. Un gentleman.

Al di là dei tratti caratteriali e delle apparenze smentite dai fatti, Giaretta è stato soprattutto l’architetto del disastro sfiorato, lo stratega arrivato a un passo dalla disfatta, il Cadorna scampato a Caporetto solo grazie (e per fortuna!) al soldato Aramu.

Per dirla chiaramente: ha costruito la squadra di un miliardario che potrebbe comprarsi la Sicilia e stava per mandarla in C. Un perfetto comandante del Titanic.

Per carità, è stato anche sfortunato, perché se il crociato di Favilli non avesse fatto crac forse le cose sarebbero andate un po’ meglio. Ma non abbastanza per riabilitare il dirigente rimasto aggrappato fino all’ultimo alla barca di Bellini, cui ha dedicato post di ringraziamento su Facebook nei quali non solo chi scrive ha notato inelegante piaggeria.

Sia chiaro: non di soli errori è stata costellata l’esperienza ascolana di Giaretta, ci mancherebbe.

Il suo primo anno non è stato tragico come il secondo, anche se una salvezza alla penultima giornata non è comunque un risultato da meritare gloria imperitura. E poi sbagliarle tutte sarebbe stato impossibile anche per lui, che peraltro ha avuto al suo fianco come alleato un procuratore scaltro come Donato Di Campli. Insieme avevano messo le mani sull’Ascoli e, tra le altre mille trattative, dio solo sa cosa abbiano combinato quando hanno fatto sborsare a Bellini un milione e ottocentomila euro per il figlio di Ganz, convincendolo che si sarebbe trasformato in una ricca plusvalenza. Con quei soldi ci poteva scappare un pezzetto niente male di Sicilia.

Insomma, ora Giaretta se n’è andato e al nuovo Ascoli tocca pagargli anche una buonuscita, frutto di quella questua petulante a Bellini che gli valse un altro anno di contratto.

Va detto che il ds lascia ad Ascoli anche qualche estimatore (pochi, pochissimi) e qualche cantore che ne avrebbe continuato a celebrare le gesta anche se al soldato Aramu non si fosse inceppato il fucile (e per fortuna dell’Ascoli che gli si è inceppato).

Ma al di là delle chiacchiere, dei pareri e delle simpatie restano i risultati: quelli di Giaretta sono stati senza dubbio inversamente proporzionali alla sua grandeur. Peraltro lascia anche una zavorra di giocatori con contratti pluriennali che ora dovranno essere piazzati chissà dove pagando parte degli stipendi.

Testate giornalistiche sportive a lui vicine, tempo fa hanno ipotizzato un suo approdo in Serie A. Lassù dove farebbe una plusvalenza dietro l’altra, ben più di quanto non gli sia riuscito qui.

E peccato che Bellini non l’abbia comprata davvero la Sicilia, perché lui l’avrebbe fatta diventare – a parole – l’Oceania.