BENEDETTA CUCCI
Cosa Fare

Bellocchio oggi al Modernissimo: “La follia? Oggi non è dei poveri”

Il regista a Bologna per presentare il suo doc ‘Matti da slegare’ del 1975, in occasione dell’omaggio a Franco Basaglia

Marco Bellocchio è anche presidente della Cineteca di Bologna

Marco Bellocchio è anche presidente della Cineteca di Bologna

Nel 1975 Marco Bellocchio scrisse e diresse con Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia ‘Matti da slegare ’, documentario girato all’interno dell’ospedale psichiatrico di Colorno, per sostenere la rivoluzione di Franco Basaglia sulla malattia mentale, che portò poi alla celebre Legge Basaglia del 1978. Il regista lo presenta oggi alle 18 al cinema Modernissimo di Bologna, nell’ambito della rassegna ‘Il pensiero che cambia le cose. 100 anni di Basaglia al cinema’, promossa dalla Cineteca di Bologna la lui presieduta.

Gli intellettuali all’epoca hanno aiutato il sogno di Basaglia e il cinema è stato una narrazione importante. Come ripensa oggi a quegli anni?

"Sicuramente in quegli anni, siamo tra il ‘68 e il ‘69, anni in cui c’era il movimento politico dei giovani ma non solo, coinvolgeva anche i partiti. Le scelte di Basaglia avevano subito avuto un consenso immediato e molto vasto, proprio perché era la psichiatria sociale: ovvero si stabiliva una relazione tra la malattia mentale e il fatto che questa malattia fosse prevalentemente causata dall’ingiustizia sociale. Per essere schematici, questa era la tesi di Basaglia, e infatti quando abbiamo fatto il film abbiamo trovato una serie di soggetti appena liberati dalle catene, dalla prigione manicomiale, che in qualche modo compivano i primi passi nella libertà anche se molto ’danneggiati’ dalla vita in manicomio".

Che persone erano?

"Tutta povera gente, figli di operai, bambini senza genitori. Persone in cui l’equazione ’malattia mentale e povertà con sfruttamento e ingiustizia’, era davvero molto collegata, era unica, perché non c’erano, tra i nostri personaggi, dei borghesi, gente che appartenesse alla ’classe sfruttatrice’, come si diceva allora, cioè antagonistica al proletariato e alla povera gente. Fin da subito è diventata quindi una questione politica che si innestava perfettamente in quegli anni di contestazione e riforme radicali".

‘Matti da slegare’ non è un documentario nel senso classico. Avete scelto il cinema verità per restituire anche in un film valore e dignità alla storia del singolo?

"Sì, le persone vengono trattate con estrema simpatia e si capisce che noi, pur essendo gli autori provenienti da un’altra classe sociale, la piccola-media borghesia, simpatizziamo con loro. Il carattere del film non è classicamente documentaristico, non c’è la voce off, non c’è il commento: sono loro che conducono il gioco e ci raccontano quell’avventura che in qualche modo aveva ottenuto il grande risultato di aprire i manicomi. Adesso è diventato abbastanza comune cancellare le domande, ma allora non lo era".

Ancora la riforma Basaglia non era diventata legge ma lo sarebbe diventata nel 1978, quindi già le cose erano un po’ cambiate?

"Sì, non entravamo nelle istituzioni chiuse e interrogavamo dei prigionieri, parlavamo invece con uomini e donne libere dall’infermiere-carceriere magari violento, e dalla segregazione. Noi siamo entrati all’ospedale psichiatrico di Colorno grazie a quel personaggio rivoluzionario che era Mario Tommasini, assessore alla Sanità di Parma, che ci propose di fare il documentario e incontrammo alcune volte anche lo stesso Franco Basaglia verso cui avevamo una grande stima e lui verso di noi una grande fiducia".

Se Basaglia fosse vissuto oltre i suoi 56 anni, morì nel 1980, cos’altro avrebbe potuto fare secondo lei?

"Effettivamente è stata una vita bruciata in breve tempo. Il fuoco, dopo, non è che si fosse spento, ma la grande novità di quegli anni fu questa legge che portò delle novità (in seguito anche criticate) all’epoca davvero all’avanguardia, e anche Paesi dell’Europa sulla materia arrivarono solo dopo. Il secondo atto, comunque, e il film lo suggerisce non affrontando la cosa in modo trionfalistico, è che una volta che hai liberato il prigioniero, poi devi ricostruire qualcosa che la prigione manicomiale ha distrutto. Un lavoro enorme e poi, ne parlavo nei giorni scorsi a Bari con Stefano Rulli, il ’matto’ è cambiato, non c’è più questo regime di classe".

Ricchi e poveri ora si equivalgono nelle problematiche psichiatriche?

"Non solo. Anche il genere di follia, pur esistendo ancora la schizofrenia e altri tipi di malattie classificate, ha acquisito nuove voci. La follia legata alla droga, alle tecnologie, tende oggi a unificare le classi nella follia. Non so dire se la situazione sia peggiore o migliore, ma se pensate alla grande diffusione degli psicofarmaci oggi, di cose che calmano e tranquillizzano la gente, devo osservare che allora ne circolavano di meno".