Tutti a caccia del ’Malloppo’: al Duse in scena la black comedy

Marina Massironi: "Il testo di Orton mette a nudo le pulsioni sotterranee, l’ambizione e la brama per il potere e i soldi"

Tutti a caccia del ’Malloppo’: al Duse in scena la black comedy

Tutti a caccia del ’Malloppo’: al Duse in scena la black comedy

Furti, omicidi, intrighi amorosi e indagini. ‘Il Malloppo’ di Joe Orton è uno degli esempi più famosi e divertenti della black comedy. Sul palcoscenico del Duse, da oggi a domenica, Marina Massironi, Gianfelice Imparato, Valerio Santoro, Giuseppe Brunetti e Davide Cirri, diretti da Francesco Saponaro. "Uno spettacolo corale dal gusto prettamente macabro e british", racconta Massironi, che pratica il teatro da quarant’anni. "Ho lasciato il posto fisso per il primo lavoro sul palco – dice –. Sono fortunata, ma la prima persona a cui devo dire grazie sono io. Certo, ho avuto tanti maestri, da Dario Fo, a Cristina Comencini, a Giorgio Gallione, ad Aldo, Giovanni e Giacomo stessi".

Massironi, nel ’Malloppo’ tutti i personaggi sono ugualmente protagonisti. Come avete lavorato alla commedia?

"Abbiamo lavorato sul ritmo e sulla surrealtà dei dialoghi, è una farsa con molti accadimenti divertenti, equivoci, entrate, uscite, capovolgimenti".

La sua Fay che personaggio è?

"Un’infermiera referenziata, lavora nelle case di tutti i borghesi del quartiere. Orton smantella il perbenismo, provoca, e Fay è una donna con i suoi lati oscuri, così come tutti i personaggi della farsa. La caratteristica di questa commedia è proprio quella di svelare le pulsioni più oscure dell’individuo e della società, del poliziotto di turno, come della moglie o del bravo figlio. Uno dei temi è l’ambizione dell’essere umano verso il potere e i soldi, verso la soddisfazione dei propri istinti".

E lei, Massironi, che rapporto ha con il potere e con i soldi?

"Sono una schiappa (ride, ndr). Mi faccio gabbare molto spesso dal punto di vista economico. La mia soddisfazione primaria risiede nella gratificazione artigianale e della creatività, non dico nemmeno ‘artistica’ per non scomodare i veri artisti".

Perché si definisce ’artigiana’ e non ’artista’?

"Essendo partita dal teatro e avendoci sempre lavorato, mi piace parlare di un lavoro artigianale. Come un artigiano fa nella sua bottega. Poi saranno gli altri a dire se l’allievo di Giotto è più bravo di Giotto".

È vero che tra i progetti futuri c’è quello di scrivere per il teatro?

"Sì, vivo bene nel mio mondo, mi piace, lo amo, ma sento che se dovessi fare un passo lo farei nella scrittura".

Ha già qualcosa in cantiere?

"Sto leggendo, traendo ispirazione. Chissà quando mi sentirò pronta per esercitare il mio potere di scrittura."

È nata a Legnano ma vive a Poggio Torriana, in provincia di Rimini. Che rapporto ha con questa terra, l’Emilia-Romagna, e con Bologna?

"Bologna è un po’ la metropoli di riferimento della Romagna, no? Spesso ci passo, ci vengo a lavorare o a vedere qualcosa. È una città che offre tanto e che conserva ancora una buona qualità della vita: non è frenetica, ha i propri tempi, le proprie rilassatezze".

Amalia Apicella

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