CronacaCovid Bologna, il nostro reportage nella terapia intensiva del Sant'Orsola

Covid Bologna, il nostro reportage nella terapia intensiva del Sant'Orsola

Viaggio fra i pazienti. I più gravi non sono vaccinati

Viaggio fra i pazienti nella terapia intensiva covid del Sant'Orsola (FotoSchicchi)

Viaggio fra i pazienti nella terapia intensiva covid del Sant'Orsola (FotoSchicchi)

Bologna, 3 dicembre 2021 - "Il successo non è mai definitivo. È il coraggio di continuare che conta". Il coraggio dei medici, degli infermieri, degli operatori sanitari. Il coraggio di una squadra che da marzo 2020 lavora in una trincea fatta di corsie, letti di ospedale, respiratori e pazienti. Malati Covid, che, ondata dopo ondata, lottano fra la vita e la morte strattonati da un lato e dall’altro rispettivamente dalle cure del personale sanitario e dagli effetti devastanti della malattia. E allora è vero che, come diceva Winston Churchill, è il coraggio di continuare che conta e che, ondata dopo ondata, il successo non è mai definitivo.

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Viaggio fra i pazienti nella terapia intensiva covid del Sant'Orsola (FotoSchicchi)
Viaggio fra i pazienti nella terapia intensiva covid del Sant'Orsola (FotoSchicchi)

IL NOSTRO REPORT Lo sanno bene quei medici e quegli infermieri che quotidianamente prestano servizio nel padiglione 25 del Policlinico Sant’Orsola, lì, sulla linea del fuoco pandemico dove sono e sono stati schierati tutti gli ospedali di Bologna negli ultimi 21 mesi. Lì, dove sulla scia del recente aumento dei contagi, l’attività di cura è tornata frenetica, fra posti letto saturi e nuovi reparti costretti a una conversione. Ma la battaglia nel tempo è cambiata e anche i sanitari hanno aggiunto un’arma all’arsenale, un’arma importante, come il vaccino, che ha cambiato la degenza e il decorso dei malati da Covid e, quindi, anche la vita in corsia. Come? Per scoprirlo siamo andati nei reparti Covid del Policlinico Sant’Orsola, fra storie di medici, infermieri e pazienti raccontate e documentate nella nostra video-inchiesta.

AREA CRITICA C’è una grande porta, che raffigura un sanitario, come accesso alla terapia intensiva del Sant’Orsola. Una porta sopra cui non si legge ‘Per me si va…’, bensì un più eloquente ‘Covid intensive care’. Di là, uno spogliatoio, dove i sanitari con la ritualità delle vestizioni di soldati medievali indossano l’armatura fatta di camici usa e getta, guanti, mascherine, prima di entrare nel lungo corridoio ai cui lati si trovano i box dei pazienti critici. Un’area di ultima generazione composta da 15 posti, di cui "14 già occupati", spiega Andrea Zanoni, direttore della terapia intensiva Covid del Policlinico. Ma da chi? "Dieci dei pazienti non sono vaccinati e 4 hanno ultimato il ciclo ormai oltre quei 5 mesi dopo i quali è stata stabilita la terza dose – così il direttore –. Questo però è un dato che va letto con la considerazione del totale di vaccinati e non vaccinati, rispettivamente circa 46milioni contro 8. Numeri che la dicono lunga su come in proporzione il rischio di finire in questi box per chi non è vaccinato sia più alto".  

LA QUARTA ONDATA Ed è proprio grazie al vaccino che al netto di numeri in costante ascesa, al momento questa quarta ondata "sta avendo effetti più ridimensionati sul nostro lavoro". Un solo posto libero in area critica, ma altri tre reparti completamente attrezzati e "pronti all’uso", per arrivare a circa "40 posti in area critica". C’è però un orizzonte che non smette di far paura. "Ci spaventa dover tornare a lavorare con l’acqua alla gola, come abbiamo fatto nelle altre ondate". Le ondate in cui "non lavoravamo nei vari reparti con solo personale specializzato di area critica, come succede ora – conclude Zanoni –. Ma ricorrendo a straordinari e personale non ancora del tutto formato".  

RICOVERI ORDINARI Si sale di due piani al padiglione 25, per passare dalla terapia intensiva ai ricoveri ordinari. Che ospitano 67 persone su un centinaio di letti disponibili, frutto anche della conversione di altri spazi. "Per ora la vaccinazione ha attutito il colpo della quarta ondata e ci troviamo ad avere più che altro non vaccinati o persone che hanno finito il ciclo ad aprile e maggio", ripercorre il coordinatore infermieristico del padiglione, Marco Marseglia. La situazione però "sta prendendo una piega che speravamo di non rivivere – continua –. La vita qui è gravata da una stanchezza cronica e piano piano riallestiamo nuovi reparti per fare spazio. Ciò significa per il personale tornare a fare gli straordinari, per garantiere il servizio anche ai pazienti della linea pulita".  

IL TIMORE Straordinari che potrebbero aumentare sempre di più alla luce del costante aumento dei casi. In tal senso "ci spaventano le manifestazioni, che rischiano di avere effetti reali e gravi", così l’infermiere. I cortei, infatti, rappresenterebbero "un’occasione di contagio importante. Per noi ogni paziente è una persona, indipendentemente dalle idee. Eppure ci fa pensare, il fatto che tanti no-vax che sono passati da qui ci abbiano ripensato, rendendosi conto come la scelta di ignorare una protezione dalla malattia li ha esposti a un rischio molto maggiore", conclude Marseglia. Perché in fondo, l’ora del coraggio è già scattata, per tutti. Ed è solo col coraggio di tutti che, forse, il successo nei confronti del virus potrebbe diventare definitivo.

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