"Il teatro in streaming? Non ha senso"

Marco Baliani con il figlio musicista Mirto chiude il ciclo di incontri ‘Il giorno che verrà’ ripresi all’Oratorio San Filippo Neri

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di Claudio Cumani

È preoccupato. Preoccupato per i tempi e i modi della ripartenza che verrà, per la futura reazione di un pubblico non più abituato ad abitare teatri al chiuso, per l’impoverimento e l’allarmismo che circola fra i lavoratori dello spettacolo dal vivo. "Ho passato le giornate – racconta Marco Baliani – facendo dibattiti sul senso del teatro in questo periodo e combattendo, per come ho potuto, lo streaming. Gli spettacoli in rete non hanno senso". È lui, insieme al figlio Mirto (apprezzato musicista), il protagonista del video filmato da Michele Mellara e Alessandro Rossi visibile da domani sul sito, la pagina Facebook e il canale You Tube dell’Oratorio San Filippo Neri. Si tratta dell’ultimo appuntamento del ciclo Il giorno che verrà, dieci ritratti d’artista prodotti da Mismaonda per la Fondazione del Monte.

Baliani, crede che questo tempo di pandemia possa essere in qualche modo raccontato in scena?

"Il periodo del Covid contiene tantissime metafore teatrali: ci ha fatto ragionare di democrazia, garanzie, sicurezza, schedature. Sono temi giganteschi e conflittuali che non possono essere elusi da un teatro che vuol parlare dell’oggi. Ci sto ragionando. La scorsa estate già avevo affrontato la questione con L’attore nella casa di cristallo in piazza ad Ancona: quattro attori chiusi in altrettante teche trasparenti si abbandonavano a un soliloquio, immaginando respiri e abbracci".

E per questa estate ha progetti?

"Al teatro di Pompei interpreterò Quinta stagione di Franco Marcoaldi in un allestimento particolare in cui i canti poetici incontreranno l’impianto scenico di Mimmo Paladino e il paesaggio sonoro di Mirto. Poi, al festival di Napoli, riprenderò Rigoletto, un mio testo che sulle musiche verdiane racconta l’ultima notte di un clown in un circo del primo ‘900 che si ritrova a vivere la stessa situazione di quel buffone di corte".

Lavora spesso con suo figlio Mirto?

"Sì, se capitano spettacoli che richiedono un linguaggio particolare. Anche il suo lavoro musicale è una forma di drammaturgia. Condividiamo negli allestimenti un metodo working in progress: è stato così ad esempio tre anni fa con Sette contro Tebe al festival di Siracusa".

Uscirà presto un suo libro?

"Si intitola La pietra oscura ed è un romanzo rivolto a quelli che ora si chiamano i giovani adulti, e cioé gli adolescenti fra i 12 e i 17 anni. Racconto di cinque ragazzi che scoprono sulle rive di un lago una pietra portatrice di energia capace di scatenare una sorta di lotta fra buoni e cattivi. Lo definirei un mistery".

È riconosciuto come padre del teatro di narrazione. Nel video racconta che in realtà questo genere è nato un po’ per caso. In che senso?

"Dopo un lungo lavoro con i bambini, trent’anni fa ho voluto sperimentare un nuovo modo di far teatro rivolto agli adulti usando solo la voce il corpo e lasciando così lo spettatore libero di affidarsi alla propria immaginazione. Lo spettacolo era Kohlhaas, che avrebbe poi avuto nel tempo oltre mille repliche. Non avrei mai pensato di fondare un genere".

Un genere che continua ad avere proseliti e nuovi protagonisti?

"Certo, le nuove tecnologie offrono ad esempio, con i video o lo sdoppiamento dei suoni, molte possibilità di raccontare. Vedo fermento ma il rischio è quello di cadere nella trappola del teatro civile. Una storia potente non deve essere per forza politicamente corretta ma deve rispecchiare i conflitti interiori di un personaggio. Altrimenti si tratta di giornalismo narrativo. Di certo, quando usciremo dal Covid, un attore solitario narrante funzionerà tantissimo. Anche le ragioni di sicurezza incideranno sul mercato".

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