In un film il demone del gioco che divora vite

Dario Albertini presenta stasera al Lumière ’Anima Bella’, sul rapporto tra una figlia e il padre giocatore. Sarà distribuito dalla Cineteca

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di Benedetta Cucci

Dario Albertini è un regista romano che si sente a casa quando arriva in Cineteca. In effetti il suo primo documentario ’Slot’, sulla dipendenza dal gioco, fu presentato anni fa a ’Visioni Italiane’, primo festival in assoluto cui un suo lavoro partecipava. Albertini si è ispirato al documentario cui ha dedicato parecchi anni di lavoro, per girare il film ’Anima Bella’ che presenta stasera alle 20 al Lumière. Il film, che sarà distribuito nelle sale proprio dalla nostra Cineteca, è il secondo capitolo di una trilogia ideale iniziata con il lungometraggio ’Manuel’, sul complesso rapporto tra genitori e figli e il regista ha voluto girarlo in pellicola, una scelta antagonista al mondo così virtuale di cui si occupa.

Albertini colpisce il fatto che, terminata la sceneggiatura, lei abbia faticato molto ad immaginare il film. Finché non ha incontrato l’attrice principale, Madalina Maria Jekal.

"Avendo fatto ’Slot - Le intermittenti luci di Franco’ molti anni fa (storia di un uomo dipendente dal gioco d’azzardo) avevo conosciuto la figlia di questa persona che ero riuscito a intervistare. Avendo trascorso più di quattro anni in compagnia di ’Slot’, sulle tracce del personaggio e della sua famiglia, ero e sono ancora saturo di tanta realtà e quindi ho approcciato il film di finzione più con la volontà di raccontare chi subisce la dipendenza del famigliare, ossia la figlia nel caso specifico. Ecco, mi tornava sempre in mente la figlia del giocatore e quindi ho faticato a trovare l’attrice giusta, a volte non credevo io stesso a quello che stavo scrivendo e anche le attrici più brave e quotate cadevano giustamente nella recitazione, dovendo fare un film di finzione. Poi ho conosciuto Madalina Maria Jekal".

E cosa è successo?

"Ho capito subito che lei sarebbe stata perfetta. L’ho incontrata in un ristorante, in un momento di pausa tra un casting e l’altro. E’ venuta a servirci a tavola e mi sono subito innamorato del suo modo di fare, del suo viso, della sua corporatura così minuta. Aveva solo 17 anni. Lei però non ne voleva sapere... Per averla ho faticato ed è stata pazzesca. Col suo realismo è riuscita ad essere molto vicina alla figlia del giocatore".

Come nasceva il documentario ’Slot’?

"Quando iniziai a lavorarci nel 2007 non esisteva il ‘gioca responsabilmente’, non rientrava nelle patologie di dipendenza. Insomma, nemmeno io capivo esattamente quello che stavo facendo, perché seguivo le giornate di un venditore ambulate di formaggi a Civitavecchia e piano piano ho scoperto che aveva il vizio del gioco che al tempo era videopoker. L’ho scoperto perché ogni tanto mi chiedeva dei soldi e io per primo, quasi fossi un famigliare, sono rimasto stupito. Così dal documentario sui venditori ambulanti ho cambiato registro e ho iniziato a lavorare a Slot".

Lei pare avere degli innamoramenti che diventano ossessioni e quindi film.

"Se non fossi così non potrei fare cinema, non scatterebbe nulla, perché non ho una formazione accademica, vengo dalla fotografia e dalla musica".

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