L’analisi: romanzo di una strage indecifrabile. Ora lo Stato deve aprire tutti gli archivi

Trame nere camuffate da piste anarchiche, strategie e depistaggi, poi l’esplosione alla stazione che cambia tutto. Bologna snodo dagli anni di piombo a quelli del riflusso: e se qualcuno, in punto di morte, avesse il coraggio di parlare?.

Un momento del corteo dello scorso anno in occasione delle celebrazioni del 39esimo del 2

Un momento del corteo dello scorso anno in occasione delle celebrazioni del 39esimo del 2

di Michele Brambilla

La strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna è stata la più grave per numero di vittime e la più indecifrabile da comprendere. C’è infatti un prima e un dopo, nella storia delle bombe che hanno insanguinato l’Italia dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Novanta.

"Prima" del 2 agosto 1980, le stragi erano state architettate per creare nel Paese un clima di terrore che favorisse uno spostamento a destra dell’opinione pubblica; più precisamente - nella testa di alcuni settori della politica, dell’esercito e dei servizi segreti - per preparare un colpo di Stato. Idea che circolava nelle menti di nostalgici e che si rafforzava vedendo quanto accadeva in molti altri Paesi, anche europei, dove i militari prendevano il potere. La bomba del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana fu la pietra angolare di quella strategia: trame nere camuffate da piste anarchiche. Di quella matrice sono anche le bombe sul treno Italicus e in piazza della Loggia Brescia.

"Dopo" il 2 agosto 1980 ci sono le bombe della mafia: da quella sul rapido 904 (1984) a quelle contro Falcone e Borsellino nel 1992 e a quelle del 1993 in via Palestro a Milano e in via Gergofili a Firenze.

Ma il 2 agosto 1980? Perché? Il "pericolo comunista" non c’era più; il sovversivo Sessantotto sopravviveva solo in una magnifica canzone di Francesco Guccini, Eskimo, e ormai consegnato alla memoria. Le piazze erano vuote, non più cortei e non più manifestazioni: l’ultima grande adunata "estremista" era stata tre anni prima, e proprio a Bologna, con gli autonomi, gli indiani metropolitani, i carri blindati per i viali. Sopravviveva il terrorismo delle Brigate Rosse: ma sempre più isolato. Dal tempo del sequestro Moro, tutta la sinistra aveva preso le distanze dall’estremismo, nessuno parlava più di "compagni che sbagliano". Insomma gli anni di piombo erano finiti, e si stava entrando, anche dolcemente, in quelli del riflusso. Ma allora perché? E soprattutto chi?

I processi hanno portato alla condanna degli esecutori materiali: neofascisti di seconda generazione, cioè non più quelli di Ordine Nuovo. Con sentenza definitiva sono stati condannati tre militanti dei Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari: Giusva Fioravanti e Francesca Mambro all’ergastolo, Luigi Ciavardini a 30 anni. Un altro ex Nar, Gilberto Cavallini, è stato condannato all’ergastolo in un successivo processo, di primo grado. Ma non è finita: secondo la Procura generale alla stazione quella mattina c’era un quinto uomo, Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, sempre estrema destra insomma. Per ora, siamo solo alla chiusura delle indagini preliminari.

Ma se questi sono i nomi dei killer, chi furono i mandanti? L’inchiesta ancora aperta punta il dito sulla loggia massonica P2: su Licio Gelli, già condannato per depistaggio, su Umberto Ortolani e altri compari. Son tutti morti, questi presunti mandanti. Sotto terra con i loro tanti misteri. Pare ci siano carte, trovate nella villa di Gelli, che documentano versamenti di denaro ai neofascisti condannati come esecutori materiali. Ma se è tutto vero, resta la domanda: perché? Che cosa speravano di ottenere, seminando il terrore? Quali trame diaboliche avevano in animo? La ricerca della verità - sia storica che giudiziaria - è stata e sarà sempre difficilissima. E questa, forse, è l’unica ma amara certezza che abbiamo: tutte le indagini sulle stragi “politiche“ d’Italia restano incompiute. Chi ha piazzato le bombe nel mucchio per seminare il terrore, ahimè, ha poi sempre avuto la copertura di uomini dei servizi segreti, di logge oscure, di inquirenti infedeli. Dopo quarant’anni, conservo due ingenue speranze.

La prima è che lo Stato apra tutti gli archivi, e riveli agli italiani quel che è accaduto davvero. Ormai è cambiato tutto, e sarebbe tempo di alzare il velo su tanti segreti di Stato.

La seconda speranza è la seguente. In queste stragi avranno operato chissà quante persone. Possibile che non ce ne sia una che, in punto di morte, magari temendo il giudizio di Dio, abbia il coraggio di dire "siamo stati noi"? Ma questa, altro che ingenuità. Non è mai successo. E temo non succederà mai.

 

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