La Motor Valley ha un cuore antico

Dagli anni Venti e poi di nuovo nel Dopoguerra si afferma un sistema di piccole aziende che spinge verso la competizione

La Motor Valley ha un cuore antico

La Motor Valley ha un cuore antico

Varni

Se le competizioni motoristiche di tutto il mondo vedono ormai confermato anno dopo anno il dominio indiscutibile delle moto prodotte dalla Ducati nel suo stabilimento di Borgo Panigale, le ragioni di simile successo non derivano da estemporanee soluzioni tecniche innovative, bensì affondano nella stessa storia produttiva della vicenda imprenditoriale bolognese.

Già, infatti, negli anni Venti e Trenta del ‘900, alimentata dallo sviluppo dei consumi ed in particolare dalle esigenze di una nuova mobilità successiva alla fine del conflitto mondiale, prese notevole impulso un’industria motociclistica cittadina in grado, per eccellenza di progettazione e accuratezza delle lavorazioni, di misurarsi con successo, sia nelle competizioni che nel mercato, con i più collaudati modelli stranieri. E questo, anche grazie ad una nuova vincente organizzazione delle forme produttive, basata sul decentramento delle lavorazioni affidate ad un ventaglio di piccole aziende meccaniche altamente specializzate nella realizzazione delle diverse parti del prodotto finito, poi assemblate dalla ditta principale che forniva il disegno complessivo e metteva a punto il telaio.

operativa che si sarebbe ripetuta con esiti ampiamente positivi pure nel secondo dopoguerra e non solo per il reparto motoristico. Fu in particolare la G.D. ad affidarsi ad una simile prassi, che tra l’altro finì per favorire il diffondersi per ’gemmazione’ di una molteplicità di diverse aziende tra loro in proficua concorrenza (come, ad esempio, la Mm, la Morini, la Fb, tra le tante).

Negli anni del fervore ricostruttivo della neonata Repubblica italiana, segnati dalle pulsioni verso nuove certezze di crescita materiale e di inedita mobilità sociale, spettò proprio alla Ducati rispondere in concreto al diffuso desiderio di possedere mezzi di trasporto individuali, prima avvisaglia dell’imminente boom della motorizzazione di massa. Costretta, infatti, dalla riconversione delle tante produzioni belliche divenute inattuali e dal conseguente forte ridimensionamento degli oltre 3000 addetti che vi lavoravano, l’azienda decise di entrare nel comparto motoristico, un settore fino ad allora estraneo alle sue produzioni, certa comunque di poter contare sulla versatilità manifatturiera delle maestranze rimaste.

Nacque così un motore da 48 cc., il Cucciolo, da applicare alle biciclette per motorizzare il mezzo di trasporto per eccellenza di allora. Il successo fu immediato, consentendo all’azienda di ampliare la sua presenza nel mercato motoristico con motoleggere (ad es. la Ducati T60) che a metà del decennio Cinquanta la resero una delle maggiori costruttrici nazionali di motocicli, di cui una fetta importante era destinata all’estero.

Ed accanto ad essa sorse una miriade di piccoli laboratori dove le abilità dell’artigianato meccanico bolognese producevano la componentistica di assoluta qualità che veniva assemblata dalle aziende maggiori, secondo il riprodursi delle esperienze d’anteguerra, come per la Moto Morini, o per nuovi marchi quali, ad esempio, Fbm, Malaguti, Cimatti o Malanca. Una diffusione, certo alimentata dall’incipiente consumismo, unito, però, al richiamo delle tante competizioni vinte dal motorismo bolognese negli anni fra le due Guerre e soprattutto da un sentimento di vera e propria passione motoristica che Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia del 1954 definisce come il "grande gioco della pianura emiliana", dove davanti ad ogni caffè "i giovanotti si contendono la motocicletta nuova per un giro di prova e si discorre solo di velocità pazze".

Normale divenne organizzare gare di velocità per le vie cittadine, lungo i viali di circonvallazione, i tornanti dei Colli, gli stessi prati dei Giardini Margherita. Del resto, quegli erano gli anni in cui lungo la penisola si correva il Motogiro d’Italia, vinto pure da un pilota bolognese, Leopoldo Tartarini, che in sella ad una Ducati poteva contare sulle straordinarie innovazioni tecnologiche messe a punto dall’azienda. Le stesse, del resto, che rendevano naturale il dotare i vigili urbani di simili produzioni ’domestiche’.

Il divieto delle competizioni su strada, il preponderante prevalere della mobilità su auto, la concorrenza dei prodotti giapponesi segnarono varie successive situazioni di crisi dell’azienda, che pure mantenne un particolare appeal sul mercato statunitense. Fino a quando, con il ritorno alle corse negli anni Ottanta, poté di nuovo riprendere ad affermarsi, in particolare nelle competizioni di resistenza, per infine individuare una nuova soluzione tecnica col motore Desmoquattro, in grado di assicurare anche alla produzione di serie quella stessa potenza dimostrata nelle gare.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro