Lino Goriup, il prete e l’uomo L’eredità del parroco della gente

Il catechismo dei bambini, i cineforum che non mostravano film "religiosi", ma opere d’attualità che potevano aprire un dibattito vero, e serio, sul contemporaneo. Lo si vedeva sfrecciare in bicicletta sotto il portico in senso contrario fin dalle sette del mattino, con o senza il suo basco nero. Quel che sconcerta una comunità intera è la scomparsa di un uomo che, a fatica ma grazie alle sue doti, aveva ricreato un mondo che prima non esisteva. Lino Goriup ricostruì una comunità come succedeva negli anni bui del medioevo, dove un solo luogo poteva raccogliere una grande famiglia che non sapeva di esserlo.

Si festeggiava la Santa, l’arrivo di nuove famiglie, non necessariamente cristiane, nei luoghi di quel Pluribus di cui proprio lui aveva rinverdito la memoria, l’ultimo tempio templare d’Italia. Aveva sofferto per i danni alla statura di Santa Caterina del suo frontespizio, tuttora in restauro, aveva sofferto ancora di più per la chiusura delle chiese durante il periodo di ‘quarantena’. Ma faceva, e andava avanti. Ha fondato una casa per i parenti dei ragazzini ospitati a Villa Nigrisoli, ‘Teneremani’, non aveva pace: la voleva vedere finita. Aveva un babbo che fuggì dall’Istria con l’ultimo treno, e anche Mario, padre e inossidabile amico, era sempre al suo fianco.

E sempre del babbo parlava, nelle prediche, da quando scomparve. Era il babbo, o il Babbo dell’eternità? È che Lino era un uomo speciale, che ti parlava da prete e ti parlava da uomo, che sapeva consolare con una battuta e offrirsi tutto intero, accettando i tuoi dubbi e ridendone, come fosse, esattamente, uguale a te.

Beatrice Buscaroli

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