Nuove Br, "Lioce irriducibile": confermato il carcere duro

La Cassazione ha respinto il ricorso della brigatista, all’ergastolo per l’omicidio di Marco Biagi: "Può riallacciare rapporti con militanti"

Nadia Desdemona Lioce

Nadia Desdemona Lioce

Bologna, 27 luglio 2021 - La pericolosità di Nadia Desdemona Lioce non è venuta meno in 18 anni di carcere. E non è per questo plausibile, per la brigatista assassina di Marco Biagi, un regime diverso dal 41 bis, in quanto è "attuale e concreta" la possibilità che la leader delle Nuove Br riallacci legami "con l’ambiente malavitoso". Una possibilità "che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario". La Cassazione motiva così il rigetto del ricorso presentato dall’avvocato Carla Serra, legale della brigatista, contro la sentenza del tribunale di Sorveglianza di Roma che a novembre 2020 aveva avallato il provvedimento ministeriale per la proroga della detenzione della Lioce in regime di massima sicurezza al carcere dell’Aquila, dove sta scontando l’ergastolo per gli omicidi del giuslavorista Marco Biagi, ammazzato in via Valdonica, sotto casa sua, la sera del 19 marzo 2002, del consulente del ministero del Lavoro Massimo D’Antona e dell’agente della Polfer Emanuele Petri, ucciso in treno per sottrarsi a un controllo dei documenti. Quell’omicidio, il 2 marzo 2003, segnerà la fine della latitanza della Lioce e l’inizio della sua vita dietro le sbarre.

La Cassazione, in merito alla posizione della sessantunenne foggiana, al suo ruolo di "irriducibile" leader delle Nuove Br - Partito Comunista Combattente, elenca nel dettaglio, e fa propri, i motivi che hanno spinto il Tribunale di Sorveglianza a mantenere per la detenuta il regime di 41 bis. Un regime che "mira a contenere la pericolosità di singoli detenuti, proiettata anche all’esterno del carcere, in particolare impedendo i collegamenti dei detenuti appartenenti alle

organizzazioni criminali anche di tipo terroristico tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà", spiega la Cassazione che sottolinea come "la motivazione adottata" dal Tribunale romano, "ha congruamente illustrato la posizione apicale assunta dalla ricorrente quale capo carismatico dell’organizzazione ‘Brigate Rosse - Partito Comunista Combattente’ (...) secondo quanto già giudizialmente accertato nonché la sua posizione di ‘irriducibile’, mantenuta ferma in costanza del lungo periodo di detenzione, anche sottoscrivendo comunicati che ribadiscono l’attualità della lotta armata apprezzati dai militanti sia fuori che all’interno delle carceri". Rendendo concreto, in questo modo, "il rischio che la detenuta, in caso di ammissione al regime penitenziario ordinario e del conseguenziale allentamento dei controlli, riallacci, sfruttando il prestigio criminale acquisito, i rapporti con i militanti in stato di libertà, (peraltro riproponendo una condotta già tenuta in passato)".

Conclusioni a cui la Suprema Corte arriva in considerazione delle condotte poste in essere in questi anni di detenzione dalla Lioce e dalle risultanze investigative, sottolineando, ad esempio, "il trattenimento di missive scambiate con il Morandi (Roberto, uomo di fiducia della Lioce attivo su Firenze, complice nel delitto Biagi, ndr) ed altri brigatisti contenenti espliciti riferimenti alla riorganizzazione del gruppo terroristico e al supporto di altre organizzazione internazionali nella radicata convinzione della necessità di portare avanti la lotta armata contro le istituzioni dello Stato, pur nel mutato contesto sociale". E poi elencando le manifestazioni "di sostegno e di supporto alle Brigate Rosse da parte degli ambienti più oltranzisti e di fiancheggiatori del terrorismo armato", rivolte in questi anni alla Lioce e da lei apprezzate. La Cassazione, rigettando il ricorso, ha anche condannato la brigatista al pagamento delle spese legali e di un’ammenda da 3mila euro.

 

 

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