Omicidio Balani, tutte le ombre. Il Doblò in cortile: "Il testimone chiave non lo notò"

A gennaio si discuterà la revisione del processo a Rossi, il commercialista che sta scontando l’ergastolo. L’avvocato Bordoni: "Dieci errori tecnico-scientifici ed elementi ora superati dalle nuove tecnologie"

Andrea Rossi durante il processo in appello per l’omicidio Balani

Andrea Rossi durante il processo in appello per l’omicidio Balani

Bologna, 3 sdicembre 2022 - Dieci. Tanti sono, per la difesa, gli errori tecnico-scientifici – "staremmo a dire gli orrori", chiosa l’avvocato Gabriele Bordoni nella richiesta di revisione presentata alla Corte d’appello di Ancona – compiuti dagli inquirenti incaricati di fare luce sulla morte di Vitalina Balani, trovata senza vita, strangolata, il 15 luglio di 16 anni fa. Per quel delitto sconta l’ergastolo  Andrea Rossi, commercialista oggi sessantenne, che con la donna avrebbe avuto un debito di due milioni di euro.

E due "gialli" che emergono dalle testimonianze raccolte durante i processi. Come quello del Fiat Doblò che Vitalina utilizzò per rientrare in città da Riccione, dove aveva lasciato il marito, e che fu trovato parcheggiato nel cortile del condominio. Decisiva, per fissare l’orario della morte della donna, fu la testimonianza dell’uomo incaricato di consegnarle un pacco, che non ricevette risposta al campanello alle 14 del 14 luglio. Perché la donna era già morta, sostennero Procura e giudici. Ma il teste disse di non avere notato il Doblò che sarebbe dovuto essere parcheggiato a un paio di metri da lui. Forse il mezzo non c’era perché Vitalina non era ancora arrivata da Riccione? È l’ipotesi della difesa di Rossi. Non solo. C’è il caso della tenda di casa di Balani. Al ritrovamento del corpo era tirata. Ma una vicina la vide aperta, alle 20 della sera prima. Chi la tirò, se Balani era morta da ore?

La difesa di Rossi ha quindi stilato un lungo elenco di elementi che ritiene non tornino, forte anche della relazione del professor Giovanni Pierucci. Si tratta di "deduzioni aberranti" per l’avvocato Bordoni, e di elementi superati da tecniche e letteratura moderne. Come la temperatura del cadavere mai propriamente misurata al rigor mortis ritenuto compatibile con un intervallo di 24 ore dall’epoca dell’intervento del 118 (a mezzogiorno del 15 luglio 2006) e che invece, per il consulente della difesa, sarebbe "circoscrivibile tra 7-12 e 18 ore"; dalle macchie ipostatiche su un braccio, che sposterebbe l’orario del decesso dalle 14 del 14 luglio alle 20-24 dello stesso giorno, orario per cui Rossi ha un alibi, fino alla mancanza di tracce di putrefazione, anche sui vestiti macchiati di sangue, e di insetti o larve sul corpo.

In particolare, sarebbe stato erroneamente considerato indizio di putrefazione il sangue uscito da naso e bocca; "ma nessun segno reale venne osservato prima dell’autopsia", quattro giorni dopo, rileva l’avvocato Bordoni. Dunque, la morte non sarebbe da datarsi a 24 ore prima dell’intervento dei sanitari, ma ben più tardi. Di quel sangue poi, la cui fuoriuscita è "tipica, anche se rara, nelle asfissie da ostruzione del collo", non si parlò più durante i processi. "Gravissima omissione", attacca ora la difesa di Rossi.

Se ne parlerà al Palazzo di Giustizia di Ancona il 16 gennaio prossimo.

Federica Orlandi

 

 

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