Omicidio Devincenzi. Ventitré anni alla moglie

Condanna confermata in Appello per Hanane Ben Sabeur, 45enne marocchina. La donna accoltellò il marito davanti ai figli. Riconosciute le attenuanti generiche.

Omicidio Devincenzi. Ventitré anni alla moglie

Omicidio Devincenzi. Ventitré anni alla moglie

Ventitré anni anche in appello. La Corte presieduta dal giudice Orazio Pescatore ha confermato la sentenza di primo grado per Hanane Ben Sabeur, la quarantacinquenne marocchina che il 23 maggio 2021 a Marzabotto uccise il marito Dario Devincenzi, 54 anni. L’imprenditore venne colpito davanti ai due figlioletti, per poi trascorrere 194 giorni in ospedale in condizioni devastanti. Fino alla morte, il 2 dicembre di quell’anno. Riconosciute anche in appello le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti (l’aver ucciso il marito e averlo fatto davanti ai due minorenni, i figli piccoli della coppia). Devincenzi venne accoltellato nel bagno di casa al termine di una lite: "Aiutatemi, sto morendo – gridò disperatamente nel tentativo di salvarsi – salvate i miei figli, salvate i bambini". Con un filo di voce raccontò poi che la moglie lo aveva aggredito "senza motivo" alle spalle mentre stava andando in bagno e lui continuava a chiederle "perché". Due vicini, a cui aprì la figlia allora tredicenne, cercarono di salvarlo: disarmarono la donna che però, poco dopo la prima aggressione, prese un altro coltello e cercò di avventarsi di nuovo sul marito, ormai a terra in una pozza di sangue.

"Siamo devastati – le parole della sorella della vittima presente ieri in udienza insieme all’altro fratello – questa persona ha agito sapendo cosa stava facendo. Il bambino (ora undicenne, ndr) da quel momento è con me. Sta bene, non chiede mai della madre, è terrorizzato. Nessuna condanna potrà ridare a noi un fratello e ai figli un papà, la pena maggiore è quella che viviamo da quando è stato ucciso. Dario amava la sua famiglia, avrebbe fatto di tutto per loro".

In primo grado si era molto dibattuto sulle condizioni psichiche della donna e sulla sua capacità di intendere e volere al momento dei fatti. Capacità che venne riconosciuta dai giudici: l’Assise sposò infatti la tesi dello psichiatra Renato Ariatti sostenendo come la personalità istrionica della donna "non era un vero e proprio disturbo clinicamente riconoscibile" e quindi non c’era un "nesso eziologico" tra questo e l’omicidio. "Come parte civile – così l’avvocato Saverio Chesi che assiste i fratelli della vittima – siamo soddisfatti della conferma integrale della sentenza di primo grado che era stata molto netta in tema di responsabilità e di colpevolezza e che restituisce la giusta dignità alla memoria della vittima". Chiara Caravelli

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