Bologna, 29 settembre 2024 – "Kristina Gallo non è finita da sola sotto il letto. Qualcuno era con lei mentre stava morendo e l’ha messa lì. E questo qualcuno non poteva che essere Giuseppe Cappello, che lasciò a casa della ragazza le chiavi dell’auto e i farmaci salvavita, senza tornare a recuperarli. Voleva nasconderla alla vista dei vicini dalla finestra, ma sotto al letto c’erano un borsone e dei vestiti e non ha potuto posizionarla più a fondo". Così la Corte d’assise d’appello, presieduta dal giudice Orazio Pescatore, motiva la conferma della condanna a 30 anni per Cappello, il 46enne accusato dell’omicidio della mamma di 26 anni con cui aveva una relazione e che fu trovata senza vita in casa il 26 marzo 2019. La ragazza era nuda, a terra, con le gambe sotto al letto e in parte straziata dai graffi del suo cane, rimasto almeno due giorni solo col corpo. Inizialmente si pensò a una morte naturale, ma l’indagine fu riaperta per omicidio aggravato dallo stalking quando l’autopsia chiesta dalla famiglia Gallo rivelò che Kristina poteva essere stata strangolata. Nel 2022 fu arrestato l’imputato.
"L’unghia spezzata della ragazza, il reggiseno lacerato e il disordine nella stanza sono elementi convergenti e univoci che riscontrano una colluttazione e una morte violenta – proseguono i giudici –; che questa sia riconducibile a Cappello lo conferma la presenza del suo dna sotto l’unghia della vittima e i graffi sul corpo dell’imputato, dei quali lui non ha fornito spiegazioni plausibili". Il movente? "Kristina l’aveva sfidato, voleva lasciarlo e avrebbe rischiato di compromettere la sua doppia vita (Cappello aveva un’altra compagna, ndr); nessun altro aveva un movente". Inoltre, "Cappello si è sempre mostrato violento con lei, isolandola, controllandola ossessivamente e percuotendola. Negli ultimi mesi aveva manifestato propositi omicidi nei suoi confronti. I suoi precedenti ne indicano l’indole violenta e ha mentito sui suoi movimenti nei giorni precedenti al ritrovamento del corpo e sui graffi". Dati questi elementi, è la conclusione, "non ha plausibile giustificazione la tesi della morte naturale" della difesa.
Parti civili nel processo, i genitori e il fratello della vittima, con l’avvocato Cesarina Mitaritonna, e la bambina di Kristina, tramite il padre e l’avvocato Francesco Cardile, poi l’associazione che tutela donne e minori ‘La caramella buona’ (avvocato Barbara Iannuccelli). Cappello è difeso dall’avvocato Gabriele Bordoni, che anticipa già il ricorso in Cassazione: "Invece di giungere a un’affermazione scientifica sulla causa della morte della donna, si ricava tramite un percorso indiziario incentrato sulla posizione del cadavere. Ma i consulenti hanno affermato che le contrazioni della vittima in fase agonica, durata almeno 20 minuti, non è impossibile che l’abbiano portata a quella posizione, benché improbabile. L’anatomopatologo Nannini l’ha ritenuto invece possibile, per sottrarsi ai graffi del cane. Non si è fatta una perizia per accertare la morte indotta asfittica: su questo punto dirimente impugnerò la sentenza".