DONATELLA BARBETTA
Cronaca

Pronto soccorso, dottoressa si dimette per i turni massacranti: “Non vedevo mai i figli”

Silvia Luconi lavorava in un ospedale della Romagna e ora fa il medico di famiglia a Bologna. “Lavorare nell’emergenza è bellissimo, ma c’è troppa carenza di personale”

Silvia Luconi si è dimessa dal pronto soccorso per stare più in famiglia

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Bologna, 13 agosto 2023 – Quando la vita professionale assorbe anche quella familiare arriva il momento delle scelte. A volte anche dolorose, come è capitato a Silvia Luconi, 44 anni, specialista in medicina interna, dodici anni di attività in Pronto soccorso: ha deciso di cambiare ruolo per diventare medico di famiglia.

Dottoressa, come è arrivata a prendere questa decisione?

"Non potevo continuare a lavorare con gli stessi turni di quando ero ragazza, perché nel frattempo avevo avuto il secondo figlio, ora il primo ha 14 anni e l’altro 10. Non ce la facevo più, i ritmi erano insostenibili per la carenza di personale e a malincuore mi sono licenziata".

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Una scelta sofferta?

"Molto, perché stare in Pronto soccorso è bellissimo, l’emergenza tiene vivi ed è il primo filtro tra i cittadini e l’ospedale. Quando si gestisce un’urgenza, si fa un fronte unico con i colleghi e gli infermieri e si lavora in squadra. Sono bolognese, mi sono laureata e specializzata all’Alma Mater e nel giro di poche settimane dal conseguimento della specializzazione sono stata assunta dall’Ausl Romagna in Pronto Soccorso".

Si è trasferita o faceva la pendolare?

"Viaggiavo ogni giorno in auto, ma la distanza di 55 chilometri da casa al lavoro non mi pesava. Non è stato questo il motivo del distacco".

Il problema, quindi, erano i turni.

"Certo. Ero al lavoro quasi tutti i fine settimana, i festivi e le notti erano interminabili perché in Pronto soccorso l’attività è intensa, si sta sempre in piedi, e per recuperare, con l’avanzare dell’età, ci vuole sempre più tempo. E poi almeno ogni due mesi ci vorrebbe qualche giorno di stacco per stare con la famiglia, ma non era possibile" .

E invece?

"In dodici anni di lavoro da dipendente avevo accumulato oltre 200 giorni di ferie, anche perché per un periodo sono stata ferma per un problema di salute. Non c’era personale sufficiente e non c’è stato un ricambio generazionale, la carenza di medici si è acuita con il Covid, così passavano gli anni e stavo sempre meno a casa, senza prospettive di miglioramento".

Come ha trovato il coraggio di lasciare un posto fisso che le piaceva?

"Con il sostegno di mio marito e dei miei figli, a 43 anni mi sono rimessa in gioco abbandonando la mia zona di comfort, perché credo che non sia mai troppo tardi per cambiare. Così mi sono dimessa, ho lasciato le ferie in donazione all’Ausl come ferie solidali e ho salutato i colleghi con i quali continuo a sentirmi. Nei giorni dell’alluvione in Romagna il mio cuore era con loro".

Così ha pensato di diventare medico di famiglia. È stato facile?

"Appena rientrata a Bologna ho lavorato in carcere per 9 mesi, poi vista anche la carenza di medici di medicina generale lo scorso febbraio sono riuscita a prendere la convenzione con l’Ausl: ho aperto a fine aprile un ambulatorio vicino all’ospedale Maggiore e ho già 800 assistiti".

Com’è il nuovo lavoro?

"Prima in Pronto Soccorso dovevo gestire il paziente in acuto, ora facendo il medico di famiglia sono passata alla cronicità, ma l’esperienza mi aiuta. Mi sono rimessa a studiare e sto frequentando il secondo dei tre anni del corso regionale di formazione per la medicina generale".

Ora ha più tempo per la famiglia?

"Sì. Lavoro dal lunedì al venerdì, i fine settimana sono dedicati alla famiglia e la sera finalmente posso concedermi concerti, teatro o cinema e uscire con gli amici".

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