Sgubbi: il Professore che difendeva la Giustizia

Denunciò i rischi di giustizialismi e populismi. Ha lasciato scritto: "Non ho mai sopportato i funerali degli altri, il mio meno che mai".

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Valerio

Baroncini

Può esistere un’eleganza che non crea soggezione, ma, anzi, ispira le generazioni. Un’eleganza non solo esteriore, ma anche mentale. Una compostezza fatta di educazione totale – alla vita, agli affetti, al mondo del lavoro, alla cultura – e non di semplice rigore. Filippo Sgubbi, per tutti ‘il Professore”, uno dei più importanti docenti universitari di diritto penale in Italia e non solo, avvocato tra i più quotati e autore di numerosi libri e pubblicazioni scientifiche, apparteneva a queste categorie. E ora che non c’è più, che ha lasciato un vuoto difficilmente colmabile nella moglie Alessandra, nel figlio Federico, negli studenti che per oltre trent’anni l’hanno seguito all’Alma Mater e in tutti i più fidati collaboratori, la comunità è più povera. L’Ateneo, il Foro, la città (dove ha collaborato con numerose istituzioni) sono in lutto: Sgubbi è morto a 75 anni dopo una malattia contro cui ha lottato con forza, ma che lo ha portato via velocemente.

Tutti lo conoscevano per il suo impegno nelle aule – universitarie e di tribunale –, ma chi ha avuto il privilegio di stargli vicino anche nel privato, sapeva che era dotato di un senso dell’umorismo spiccato, inglese, un’intelligenza visionaria, un assoluto rifiuto dell’autocompiacimento. "Non mi piacciono i funerali degli altri, il mio meno che mai", ha lasciato scritto poco prima di morire. Volontà rispettata: il Professore era un uomo sociale, sì, ma anche riservatissimo. Una doppia dimensione forse dovuta a un lavoro così totalizzante da averlo trasformato in un mito per molti avvocati e in un vero e proprio faro per chi ha avuto la fortuna di studiare con lui. Trascorreva in Studio anche la Vigilia di Natale, a ricevere i suoi allievi, ai quali si è dedicato generosamente per tutta la vita. Fra le sue mani sono transitate le carte di alcune delle più importanti inchieste (e poi processi) d’Italia: Mani Pulite, il caso Unipol e la Parmalat di Calisto Tanzi, poi la difesa di Cpl Concordia, delle Società del Gruppo Marcegaglia, Hera e, non ultima, l’Ilva di Taranto. Era, poi, da anni l’avvocato del nostro gruppo editoriale: un incarico, quello di difendere il Carlino, che lo riempiva d’orgoglio e ne aveva fatto uno dei massimi esperti anche di diffamazione a mezzo stampa e diritto dei media. Non c’era serata, a volte notte, in cui il suo telefono non suonasse per un consulto.

Bolognese doc, ma con parte delle radici piantate nell’amata San Gimignano di Siena dove aveva una casa, era stato allievo di Franco Bricola alla facoltà di Giurisprudenza, luogo del cuore da dove – de facto – non si era più allontanato. Non è un caso se vivesse per i suoi allievi e i suoi studenti, la sua seconda grande famiglia. Era un maestro generosissimo, lascia infatti una scuola affermata. Aveva avuto esperienze anche a Cagliari e alla Luiss a Roma, dove insegnava diritto penale dell’economia. Il legame tra il codice e le attività imprenditoriali era uno dei suoi principali settori di interesse. Nell’ambiente universitario tutti conoscevano il suo sguardo lungo, la visione illuminata, le teorie che sarebbero state confermate poi da un futuro nemmeno troppo prossimo. Accadeva con ‘Il reato come rischio sociale’, un libro del 1990: "Oggi il reato è diventato un rischio, nel senso che la responsabilità penale si configura in modo non prevedibile e incerto, talvolta addirittura come un dato di pura sorte, sulla base di fattori non controllabili e non dominabili dall’individuo – scriveva il Professore –; ed è un rischio sociale, perché un cittadino è esposto al rischio penale in misura maggiore o minore a seconda della posizione economica-sociale e dal tipo di attività svolta". Poco dopo sarebbe esploso Mani Pulite, il resto è cronaca, ormai storia, e lo conosciamo.

Per Sgubbi, che ha lavorato tutta la vita sul tema delle garanzie per i cittadini e per le imprese, il diritto penale nel corso dei decenni si era fatto ‘totale’ (come il libro del 2019). Il diritto penale, secondo Sgubbi, "è invocato in ogni situazione come intervento salvifico e, soprattutto, quale preteso rimedio –politicamente e mediaticamente remunerativo – a vari mali sociali. Una simile espansione del sistema penale comporta il sacrificio dei principi fondamentali di garanzia". Il prof ci ha spiegato che in un clima di giustizialismo e populismo crescente, la norma penale dovrebbe segnare il confine tra lecito e illecito, mentre sta sempre più evaporando, sta assumendo un carattere relativo e privo di certezze.

Il prof, che non aveva problema a mostrarsi critico con le storture del sistema giudiziario, arriva a spiegarci questo: "Una sanzione è meritata non tanto per ciò che il soggetto ha fatto colpevolmente, quanto piuttosto per ciò che il soggetto è, per origini e storia, per il suo ruolo nella società, per la sua pericolosità sociale. Da qui, il binomio puroimpuro che oggi ha sostituito il binomio innocentecolpevole". Una visione del tutto nuova, senza sconti, diretta, che diviene oggi un vero e proprio testamento spirituale.

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