Si uccise al Poligono, la sorella: "Aprite un’indagine"

L’esposto: "Non doveva usare armi, aveva già tentato il suicidio". Chiesti chiarimenti sul certificato di buona salute mentale della vittima

Il poligono di tiro di Bologna (archivio)

Il poligono di tiro di Bologna (archivio)

Il 27 aprile, con un colpo di pistola, M. B. aveva messo fine alla sua vita. Un suicidio portato a termine al poligono di tiro di via Agucchi, che l’imprenditore sessantatrenne frequentava da settembre del 2021. Un gesto estremo, su cui adesso la sorella dell’uomo chiede di indagare per omicidio colposo, attraverso un esposto presentato dal suo avvocato Alexandro Maria Tirelli in Procura. Questo perché, secondo la donna e il suo legale, ci sarebbe stata una falla nei controlli, visto che il regolamento del poligono impone a tutti i frequentatori la presentazione di un certificato che dimostri il proprio buono stato di salute, sia fisica che mentale, da esibire prima di poter effettuare iscrizione e accesso.

Una condizione, però, impossibile da certificare all’imprenditore che, visti i suoi precedenti, era chiaramente incompatibile con l’uso delle armi. Perché, come si legge nell’esposto, "già nel giugno del 2019 mio fratello aveva tentato per la prima volta il suicidio, recidendosi le vene". E ancora, "il successivo settembre 2019 mio fratello reiterava, con modalità persino più cruente, il tentativo di togliersi la vita". Una condizione di depressione che sarebbe stata legata ai dolori lancinanti che l’imprenditore aveva iniziato a patire dopo un intervento a cui si era sottoposto nel gennaio del 2019. All’uomo, sempre stando al contenuto dell’esposto, proprio per questa sua fragilità, era stato anche negato il porto d’armi, di cui aveva fatto richiesta nel 2019. "Per accedere al poligono occorre essere muniti di un certificato psicofisico e anamnestico (rilasciato, firmato, timbrato e datato dal medico curante)", risalente a non più di tre mesi prima dell’iscrizione. "Mio fratello era un soggetto fragile, cui si doveva necessariamente inibire l’accesso a tale luogo e l’utilizzo di un’arma da sparo", riassume la donna. Che chiede ora di indagare su eventuali condotte negligenti, che possono essere dovute a omissioni relative all’acquisizione dei documenti citati da parte degli addetti del poligono – che si chiede, se esistenti, di sequestrare – oppure a una valutazione superficiale da parte di chi, ipoteticamente, può aver redatto il certificato medico di idoneità. Condotte che, se così attuate possono aver ‘aiutato’ M.B. a portare a termine il suo intento suicida. "Ritengo che la Procura non possa esimersi dall’indagare per comprendere come sia possibile fornire un arma a una persona manifestamente incapace e psichiatricamente debole – il commento dell’avvocato Tirelli –. Le responsabilità configurabili sono gravissime e sorge una preoccupazione più generale anche per la tutela della comunità".

 

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