Bologna, svolta nel delitto di Kristina Gallo. Chiesto il giudizio per l’ex fidanzato

Secondo la Procura fu lui a uccidere la ragazza, ritrovata sotto il letto di casa in una posizione anomala. La difesa: "La morte fu per cause naturali. Lo dimostreremo". Il 12 dicembre l’udienza preliminare

Kristina Gallo

Kristina Gallo

La Procura ne è certa: Giuseppe Cappello è colpevole di omicidio e per questo dovrà essere processato. Quello di Kristina Gallo, sua ex fidanzata, ritrovata morta sotto il letto dell’appartamento di via Andrea Da Faenza dove giaceva da giorni. Era il 26 marzo 2019 – la morte tra il 22 e il 24 – e ci sono voluti tre anni e mezzo di indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo, e 6mila telefonate nascoste analizzate, per ricostruire la tragedia e arrivare al presunto assassino, già da tempo indagato per stalking. Ora il procuratore aggiunto Francesco Caleca e il sostituto Stefano Dambruoso hanno chiesto per lui – dal 29 luglio alla Dozza dopo essersi visto rigettare dal Riesame la richiesta, avanzata per via di una "grave patologia", dei domiciliari – il rinvio a giudizio con la preliminare fissata dal gup Sandro Pecorella il 12 dicembre. "Con una custodia cautelare in atto – spiega l’avvocato Gabriele Bordoni che lo difende insieme alla collega Alessandra Di Gianvincenzo – la richiesta della Procura era imprescindibile e attesa. Ci difenderemo in quella sede e resto fermamente convinto che la ragazza sia morta per cause naturali, come scrisse il primo consulente del pm che non rilevò i segni tipici di sofferenza polmonare".

Minacciata, soggiogata, picchiata, privata di contatti liberi con familiari e figlia o di indossare vestiti "che ne esaltassero la femminilità". Fino all’atto estremo, l’assassinio. Parole durissime quelle utilizzate dalla Procura nei confronti del 44enne bolognese, un vecchio precedente alle spalle, per alcuni anni fidanzato con Kristina. Soffocata, così parlano gli atti, dopo l’ennesimo litigio: omicidio volontario aggravato dallo stalking per fatti andati avanti dall’autunno 2016 al febbraio 2019. Un periodo in cui la vita della donna si trasformò in un inferno, "costretta a vivere una perdurante, assoluta condizione di soggezione e paura per la propria incolumità, fino a ridurla in uno stato di segregazione morale, imponendole radicali mutamenti delle proprie abitudini di vita". Dall’abbandono del lavoro, "per ridurre le occasioni di contatto con altri uomini", alla privazione di telefono e pc per evitare accessi "sui social network".

Addirittura lui la obbligò a "non ricevere notizie della figlia, avuta da una precedente relazione". Nessun contatto nemmeno con i genitori (la famiglia è rappresentata dall’avvocato Cesarina Mitaritonna), "se non con l’uso di biglietti manoscritti". Poi le botte, i lividi sulla pelle, le minacce di morte. Il 10 ottobre Cappello chiese di essere interrogato, tutto poi fu sospeso per la sua forte emozione. Una settimana più tardi ecco una serie di dichiarazioni spontanee per ribadire la ’sua’ verità. Sui tagli, "occasionali e procurati sul lavoro", che gli furono riscontrati uno sul collo e due sul busto e soprattutto sull’ultima volta che incontrò Kristina, "ad inizio marzo".

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