È morto Fabbretti, l’uomo della B

Fu presidente nel 1982, l’anno della prima retrocessione, poi il crac e il crollo in C

Tommaso Fabbretti tra Savoldi e Perani

Tommaso Fabbretti tra Savoldi e Perani

Bologna, 30 dicembre 2015 - Quando era presidente del Bologna (e prima che la mannaia della giustizia calasse sulla sua testa interrompendone bruscamente l’infelice epopea) fumava tre pacchetti di Mercedes al giorno, portava in giro per la città il suo inconfondibile cappottone di cammello e viaggiava in Jaguar. Più che altro Tommaso Fabbretti nella vita amava viaggiare spericolato: per questo era finito molte volte fuori strada.

La sua corsa si è fermata la scorsa notte in un letto del policlinico Sant’Orsola-Malpighi, dove si è spento all’età di 80 anni. Cosentino di nascita, classe ‘35, nella Bologna del dopoguerra il giovanissimo Fabbretti sfrecciava già in sella al suo Garelli Mosquito a vendere polizze di assicurazione: la sua fortuna e insieme la sua condanna. Fu così che costruì il suo piccolo impero (rivelatosi poi di cartapesta) a capo del quale, in coda alla stagione 1978-79, bussò alla porta di Luciano Conti, che gli cedette il Bologna.

Il suo fu un battesimo di fuoco. Al pronti via subito lo scandalo del calcioscommesse, che fece vittime illustri a Casteldebole zavorrando la stagione successiva dei famosi 5 punti di penalizzazione. Con Gigi Radice in panchina, nel 1980-81, quel Bologna disputò però uno dei migliori campionati della sua storia, guadagnando un clamoroso settimo posto. Il baratro sotto i piedi del club e del suo presidente si spalancò la stagione successiva, nell’annus horribilis 1981-82, quando dopo aver avvicendato inutilmente due allenatori (prima Burgnich e poi Liguori) per la prima volta nella sua storia il Bologna conosceva l’onta della retrocessione in B.

Altri peccati hanno macchiato la coscienza di Fabbretti, come l’aver ceduto il gioiellino Roberto Mancini alla Sampdoria in cambio di 4 miliardi delle vecchie lire (quando Radice, richiamato sulla panchina rossoblù in B, lo venne a sapere rassegnò subito le dimissioni). Il peccato più grave di tutti, però, è stato il crac delle sue finanziarie, che il 9 dicembre 1982 gli spalancò le porte del carcere di Ferrara. Dopo due mesi tornò in libertà, ma la marea montante della contestazione di una tifoseria che temeva il secondo capitombolo consecutivo (che puntualmente si verificò con la retrocessione in C) lo costrinse a passare la mano al suo vice Enzo Mariniello, che a sua volta cedette tutte le sue quote a Enrico Brizzi.

Lì terminò la sciagurata avventura da presidente rossoblù di Fabbretti e cominciò una vita bolognese contrassegnata da altri scivoloni giudiziari e condanne, oltre che dalla perdita per malattia della moglie e di una delle tre figlie. La camera ardente sarà allestita domani alle 8,30 al Malpighi. Alle 10 i funerali nella chiesa dei Santi Francesco, Saverio e Mamolo di via San Mamolo 139.

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