Via Fondazza, al centro del mondo

All’Università un incontro sul fenomeno ‘social street’

Una lezione di tango

Una lezione di tango

Bologna, 17 febbraio 2015 - C’ERA, negli anni ’90 inglesi, un movimento, si chiamava ‘Reclaim the Street’ che rivendicava la necessità di tornare per la strada, di abbandonare l’isolamento della propria stanza per vivere insieme negli spazi comuni delle città. Necessità che il trionfo della rete ha acuito e alla quale risponde, proprio attraverso i linguaggi del web, il fenomeno delle social street che a Bologna, con il caso di via Fondazza, è nato nel 2013.

Adesso un convegno della facoltà di lettere, Università Fuori Orario, in programma il 18 febbraio, Dal Virtuale al Reale al Virtuoso’(Aula III, via Zamboni 38, ore 20.30), ne ricostruisce la genesi. Nell’occasione verrà presentato l’ebook di Andreaa Elena Stanica, Strada Sociale (Tablab editore), che racconta l’ascesa di questa formula inedita (e di successo) di socializzazione. Ne parliamo con l’autrice.

Cosa l’ha spinta a realizzare questa ricerca?

«Il libro è frutto del lavoro per la mia tesi di laurea a Scienze Politiche, facoltà di sociologia. Mi interessava raccontare le social street dal punto di vista dello specifico bolognese, la nostra città è stata infatti la prima al mondo dove si è sviluppata questa realtà, ma cercando anche di analizzarne le ricadute sociale e economiche. E, vista che si tratta di una iniziativa molto recente, la prima, quella di via Fondazza è nata nel settembre 2013, non restava che incontrare i protagonisti di questa novità».

E cosa l’ha più colpita negli animatori delle social street cittadine?

«Sicuramente l’entusiasmo e la velocità con la quale tutto si è propagato, partendo dalla passione di un gruppo di ragazzi di via Fondazza. Oggi nel mondo ci sono 360 social street che riconoscono all’esperienza bolognese il merito di ave dato vita a questa scena. Facendo leva su un bisogno che aleggia sempre di più nell’aria: quello di socialità, reso ancora più necessario dalla crisi economica e di valori che viviamo. Le social street sono una risposta semplice e dal basso che non comporta alcun genere di investimenti, coinvolge tutti al di là del credo e della provenienza, trasforma la conversazione in chat in chiacchiera da strada, restituisce alla piazza il suo ruolo centrale nell’urbanistica».

Quali sono i problemi più importanti che una social street deve affrontare?

«Sicuramente la maniera stessa di comunicare, visto che si tratta di una iniziativa che si propaga attraverso la rete, prima di dare vita a forme tangibili di incontro. E questo privilegia fortemente la fascia di utenti tra i 20 e i 45 anni. Bisogna trovare soluzioni alternative per coinvolgere le persone di età maggiore. Come hanno fatto i promotori della social street di via Duse, che, stringendo un patto con il Comune per l’utilizzo dei beni comuni, hanno creato delle più tradizionali bachece dove promuovere i vari incontri».

Si tratta di progetti che avranno un futuro o sono legati alla moda del momento?

«A mio avviso siamo solo agli inizi. Anche perché tra i meriti delle social street c’è anche quello di aver avvicinato al volontariato fasce di persone che non lo avevano mai praticato nella vita».

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