Andrea Mingardi, il ritorno. "Con il dialetto sto conquistando il web"

Già migliaia di visualizzazioni del brano ‘Amour... amour... amour’: "Parlo di sentimenti recuperando un gergo in disuso"

Bologna, 10 dicembre 2019 - In tempi di identità cangianti, di riscoperta della necessità di coltivare le proprie radici, guardare alla lingua della cultura popolare, al dialetto, è una delle maniere per far diventare la tradizione linguaggio contemporaneo, non museale. Lo ha fatto Andrea Mingardi, che ha pubblicato il suo nuovo singolo, ‘Amour…Amour…Amour’ in dialetto e già scaricato in pochi giorni decine di migliaia di volte. Mingardi, un successo il suo ritorno sulle scene con una canzone dialettale... «Un successo inaspettato, non solo per l’utilizzo del dialetto, ma per il tema del brano, che è un’autentica storia d’amore, traboccante di romanticismo. E’ la conferma che la nostra lingua non è soltanto perfetta per esprimere ironia, divertimento, gioia, come eravamo abituati a pensare, ma si presta a una narrazione ricca di sentimentalismo». Il sentimentalismo è un po’ rétro? «Certo, andare indietro nel tempo, scavare nei ricordi, è una operazione che mi piace fare. E l’effetto nostalgia è difficile da sfuggire. Ma c’è altro, c’è anche l’aspirazione a condividere con i più giovani un prezioso patrimonio linguistico che altrimenti rischierebbe di estinguersi. Il dialetto, invece, è cosa viva, ha che fare con le nostre esistenze quotidiane, scrive ogni giorno la nostra epopea e va divulgato. Il fatto che su un mezzo molto legato alle nuove generazioni come internet il brano abbia avuto così successo, dimostra che questo desiderio è diffuso». Il brano è autobiografico? «E’ uno sguardo che il Mingardi ragazzo rivolge al mondo e lo fa con gli occhi di chi, come tutti gli adolescenti, è innamorato, segue tutte le fasi del corteggiamento, apre il proprio cuore, mette in mostra i propri sentimenti con l’ingenuità che solo i giovani hanno. Amour…Amour…Amour… ci trasporta in un universo che non c’è più, quello dei balli lenti, della maniera impacciata di baciare, della timidezza che impediva di dichiararsi..». Tutto questo cantato in dialetto... «Sì, recuperando parole ed espressioni altrimenti destinate all’oblio. La canzone è frutto di un ricerca sul gergo che la gente usa quando ha bisogno di un rapporto diretto. Con il dialetto è la ‘pancia’ che parla, ancora prima della mente, Così emergono personaggi mitologici di un passato recente, ma già dimenticato, l’Ubaldo, lo Sfighè, il Marziano. Li incontravi ovunque, c’era un angolo, in via Indipendenza, che chiamavamo ‘L’angolo degli imbecilli’, perché lì si radunavano i ragazzi che, non avendo il coraggio di corteggiare davvero le fanciulle che passavano, si limitavano a ‘dichiararsi’ in gruppo. La mia canzone è un omaggio a chi in quel punto del centro ha visto sfilare tanti sogni proibiti, irrealizzabili…». Non è la prima volta che canta in dialetto… È un nuovo inizio? «Sicuramente, le mie canzoni vogliono tornare a essere la colonna sonora di una comunicazione spontanea, che non ha bisogno dei telefonini. Sono al lavoro su altro materiale per registrare un nuovo disco interamente in dialetto».  

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