Pupi Avati e il film della vita: "Il segreto? Tornare bimbi"

Bologna, il regista ha ricevuto il Premio Cultura di Confartigianato. La ministra Bernini: "È un fanciullino pascoliano capace di sognare in grande"

Ci sarà ancora Bologna nel prossimo film di Pupi Avati. Il regista – che il 3 novembre compie 84 anni – comincerà a girare "lunedì, a San Michele in Bosco, con la scena di un funerale". Di più, non svela. Nei cinema con Dante, Avati è a Bologna, la sua città, per ricevere il ‘Premio Cultura’ 2022 di Confartigianato, opera di Mimmo Palladino. Lui stesso ama da sempre definirsi "un artigiano del cinema". Con ancora "l’ambizione della qualità", che in generale "è un po’ scaduta, schiacciata dalla vera pandemia che è l’omologazione".

Pupi Avati, malore sul set: "Sto bene e torno a girare il film"

Pupi Avati, 84 anni il 3 novembre, ha ricevuto il Premio Cultura di Confartigianato
Pupi Avati, 84 anni il 3 novembre, ha ricevuto il Premio Cultura di Confartigianato

Alla premiazione, all’Archiginnasio, c’è Anna Maria Bernini, neo ministro dell’Università, grande appassionata del cinema di Avati: "Quello che Pupi crea è alto artigianato artistico, la massima espressione del saper fare italiano". La Bernini descrive il regista come "un fanciullino pascoliano" di cui ama "la capacità di sognare in grande. Ci ha insegnato che i sogni, quelli grandi, sono necessari per vivere".

In sala, fra le autorità, c’è il senatore Pier Ferdinando Casini. Davide Servadei e Amilcare Renzi, presidente e segretario regionali di Confartigianato, consegnano il ‘Premio Cultura’ ad Avati. "Una medaglia al valore sul petto di un militare di carriera che ha sempre combattuto nella trincea della cultura", afferma Servadei. Per Renzi, il regista è "un "artista artigiano nel senso più nobile della parola, che sa trasformare la bellezza in immagine e narrazione".

Avati dialoga con Valerio Baroncini, vicedirettore del Carlino. Ascolta attento gli interventi di apertura. Fa una pausa. "A sentire parlare di se stessi – commenta – si ha la sensazione di non esserci più, di ascoltare discorsi alla memoria. Sono un po’ in anticipo rispetto a ciò che devo ancora fare". Da fare, nonostante la sterminata filmografia di Avati, con oltre cinquanta pellicole, "c’è ancora il film della vita". E "non avere ancora fatto il film della vita è il segreto di un regista", rivela. A ogni ciak "senti che, probabilmente, questa è la volta buona. Fortunatamente non lo è, la rimandi sempre".

Il regista racconta. E incanta. Una violinista esegue il tema di Festa di laurea (1985), musica di Riz Ortolani. Avati si commuove. Ricorda i protagonisti "di una stagione del mio cinema. che non ci sono più": Lino Capolicchio, Gianni Cavina, Nik Novecento, Carlo delle Piane... Poi ricorda Lucio Dalla.

E svela un altro segreto. Nel suo computer c’è un file "con i nomi di tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita, a partire da mio padre e mia madre". È un elenco che Avati legge spesso. "È una forma di preghiera che mi sono inventato. Li tengo in vita quotidianamente. Quando mi prende l’angoscia evoco le persone che non ci sono più, le tengo con me".

All’avventura del cinema Avati arriva un po’ per caso. Negli anni 60, "rinunciato al sogno della musica (era un clarinettista jazz, ndr) vendevo surgelati a Bologna". In una pausa dal lavoro entra nel cinema del Dopolavoro ferroviario. Danno Otto e mezzo, di Federico Fellini. "Mi aprì gli occhi. Il film parlava di cinema". Un mezzo "con cui puoi raccontare ciò che si vede e ciò che non si vede, ciò che pensi e ciò che non pensi".

Un tema che ricorre spesso nei film di Avati è quello del ritorno. "Nel percorso della vita – afferma il regista – c’è circolarità. E a un certo punto la nostalgia della giovinezza si sostituisce con la nostalgia dell’infanzia. Tornare bambini, tornare figli, mettere la mano destra in quella del proprio padre e la sinistra in quella della propria madre".

Invecchiando, "si diventa vulnerabili, come i bambini". E la vulnerabilità – sostiene Avati – è la qualità principale dell’essere umano. Le persone migliori sono quelle vulnerabili, le più timide, chi si sente inadeguato".

Quando "sei vulnerabile e privo di difese percepisci l’altro molto di più. Il tuo prossimo è davvero il tuo prossimo. È una lezione che imparai da Ugo Tognazzi".

Avati e Dalla. "Lucio era un megalomane. La sera andavamo alla birreria Lamma, e non aveva neppure le 50 lire per un piatto di tonno, fagioli e cipolle, giurava che sarebbe diventato qualcosa di straordinario. E non era un bugiardo. Lui sapeva che qualcosa di fantastico sarebbe arrivato. Sapeva immaginare, credere, confidare nella sua creatività. Ed è riuscito a fare un viaggio davvero siderale. Aveva talento in tutto ciò che faceva. Ho conosciuto persone straordinarie, ma Lucio è la persona più straordinaria che ho incontrato nella mia vita".