Pupi Avati, Gianni Canova: "L'ho messo sotto l’occhio della macchina da presa"

Il critico cinematografico e rettore della Iulm racconta il fim che sarà presentato oggi alla Mostra del Cinema di Venezia. Girato dagli allievi dell’università, è un racconto intimo e personale del regista, nei luoghi della sua vita e delle sue pellicole

Pupi e Antonio Avati in un’immagine del backstage del filmGianni Canova

Pupi e Antonio Avati in un’immagine del backstage del filmGianni Canova

Bologna, 7 settembre 2021 - "Il cinema mi ha dato tantissima gioia ma anche tantissime sofferenze. Molte mattine andare sul set rappresenta veramente la cosa che vorrei meno fare al mondo e mi chiedo: perché mi sto costringendo a questa scelta di vita che mi espone continuamente a questa ricerca di felicità. Perché non siamo mai definitivamente cresciuti?".

La voce di Pupi Avati ha un incedere lento e profondamente sincero in questo racconto in prima persona 'Vorrei sparire senza morire' che, con le riprese e il montaggio degli studenti Iulm Marta Erika Antonioli, appena laureata, e Nicola Baraglia, è diventato un film autobiografico prodotto (Hilary Tiscione è la produttrice esecutiva) da Iulm Movie Lab con la collaborazione di Duea Film, con la partecipazione di Antonio Avati, che viene presentato oggi a Venezia alle 16 alla Giornata degli Autori. Tanto il materiale di repertorio, filmini di famiglia, dei concerti col gruppo jazz ma anche immagini girate in città, dalla Cantina di via Cesare Battisti al Diana. Da un’idea di Gianni Canova, rettore della Libera Università di lingue e comunicazione. Canova, la sua idea è molto piaciuta a Pupi Avati. "Io e Pupi ci conosciamo da tanti anni e c’è un rapporto di stima e amicizia profonda. Quando gli ho proposto questa cosa dicendogli che l’intento era di fare un film realizzato da giovani filmmaker in parte laureati in parte studenti dell’Università, l’idea gli è piaciuta molto, soprattutto nella prospettiva di un confronto generazionale. Un vecchio maestro che parla alle nuove generazioni e racconta non tanto il suo rapporto col cinema (ovviamente il cinema c’è), ma offre un suo monologo sull’amore e sulla morte, che non a caso inizia a finisce in un cimitero". Sono gli studenti che danno corpo a testi e immagini. "Gli ho proposto di fare questo ritratto intimo e personale dicendogli però di non affidarlo ad altri registi ma di raccontarsi e affidare poi le sue parole a ragazzi che sono all’inizio del sogno che lui ha avuto modo di realizzare, ovvero quello di fare cinema. L’idea gli è piaciuta, come anche il fatto che questi ragazzi entrassero in punta di piedi, senza pretendere di imporre un punto di vista, una regia, nel senso che è un racconto di Pupi Avati, messo in scena da giovani filmmaker che hanno suggerito dei temi e degli spunti. Non c’è quindi una sceneggiatura, hanno seguito Pupi che cammina a San Leo, nei luoghi in cui ha girato quattro film, alla Rocchetta Mattei, negli studi di Cinecittà: si racconta attraverso frammenti di un’autobiografia di un uomo che ha vissuto generosamente il Novecento." Il racconto inizia nel piccolo cimitero di famiglia a San Leo di Sasso Marconi e finisce alla Certosa di Bologna. "A San Leo sono sepolte le persone che Pupi ha amato e da lì è partito questo autoritratto. Proprio qui pronuncia la frase che poi dà il titolo al film, intendendo che sarebbe meglio andarsene senza soffrire e senza portare dolore in chi ti vuole bene. La fine è invece stata girata alla Certosa dove si vede l’angelo con la tromba… Pupi racconta che lì, su quell’angelo, ha visto per la prima volta una tromba e ha sognato di suonare questo strumento, tanto che vi si è arrampicato sopra per vedere se emetteva dei suoni".

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