Bologna, 18 luglio 2022 - "Stagione fantastica, in cui successero tante cose divertenti e bellissime. Col senno di poi posso dirlo: è stato come vivere un anno al cinema". Ciak si gira: il regista (in tutti i sensi) era Giancarlo Marocchi. Oggi ‘Ciccio’ Marocchi osserva e commenta le partite dal salotto di Sky, ma in quel 1997-98 che è passato alla storia Marocchi era il playmaker di un Bologna da film. Primo ciak: il ritiro di Sestola. "La sera prima eravamo nella saletta dell’hotel Miramonti a giocare a carte in un silenzio di tomba e la sera dopo, con l’arrivo di Baggio, c’erano i carabinieri a presidiare il ritiro. Fu una mossa che ci cambiò il mondo".
E che collocò quel Bologna sul tetto del mondo.
"Trentamila persone allo stadio in tutte le partite al Dall’Ara, i patemi del girone d’andata, la marcia trionfale del ritorno, Ulivieri che dopo il dissidio con Baggio si dimise tre volte in un mese: spettacolo".
Spettacolo col senno di poi: allora furono tensioni vere.
"Ma no, la verità è che Ulivieri alzava i toni per scelta strategica: ogni sua uscita, anche nel rapporto con Baggio, era tesa a scuotere il gruppo, a spronarlo, a fargli dare il massimo".
Però l’atterraggio di Baggio sul pianeta Bologna fu traumatico.
"Ci abbiamo messo un po’ di tempo a capire come ricavare il meglio da Baggio. Prima giocavamo ‘alla Ulivieri’ e ognuno che portava il suo pezzetto di contributo alla causa. Poi abbiamo capito che il segreto era consegnarsi a Baggio. Certo non potevamo chiedergli di tornare in difesa come Ulivieri pretendeva, per esempio, da Nervo".
Chi fu il vero regista del film?
"Certamente Gazzoni, che portando Baggio a Bologna ebbe un’intuizione geniale. Oggi un’operazione del genere sarebbe quasi impensabile".
Tra Juve e Bologna lei ha giocato sei stagioni al fianco di Baggio: chi era il Divin Codino visto da vicino?
"Roberto era, e resta, una persona semplice, buona e piena di umiltà: l’esatto opposto del prototipo del numero dieci. Quanto al calciatore, Baggio è l’estetica del calcio, la bellezza applicata a questo sport. E aveva una peculiarità unica: spesso i numeri dieci dividono e invece Baggio piaceva a tutti. In tutti gli stadi in cui andavi c’era l’omaggio alla sua grandezza".
Ma è vero che quando Baggio arrivò a Bologna lei gli agevolò la pratica per avere il numero dieci sulle spalle?
"Sì. L’anno prima io avevo il 9 e Kolyvanov il 10. In ritiro, dopo l’arrivo di Roberto, convinsi Igor a prendere il 9 lasciando libera la maglia numero 10 per Baggio. Kolyavanov accettò, io presi il 5. E poi fu cinema vero".
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