
di Massimo Vitali
"Il Bologna sabato va a Cremona? Se è per questo io ci vado una-due volte alla settimana. Papà Luigi a 97 anni accudisce ancora le sue dieci galline. E mia madre Maria, che di anni ne ha 93, gli dà una mano. Vado là, pranzo con loro, faccio un giro in paese per salutare i vecchi amici e porto a casa le uova...".
La Cremona di Renato Villa, alias il Mitico, è Cornaleto, frazione di Formigara, trecento anime a trenta chilometri dal capoluogo, l’Adda a un tiro di schioppo e davanti agli occhi una lunga distesa di campi e cascine.
Villa, anche lei ha fatto vita di cascina.
"Come no: e ne vado fiero. Da bambino mio padre, quando non poteva venire l’aiutante che gli dava una mano a mungere le mucche, mi svegliava nel cuore della notte e così andavo nella stalla col secchio a raccogliere il latte".
Bravo con le mucche, meno coi libri.
"Non mi è mai piaciuto studiare. Quando al primo giorno di scuola mi consegnavano i libri li mettevo sotto il banco e non li toccavo più. Così sono arrivato fino alla terza media e poi ho salutato tutti. Già da bambino avevo una sola cosa nella testa: il pallone. E a Cornaleto davanti alla scuola c’era una campetto da calcio a sette: ogni volta facevo venir sera".
Zero voglia di studiare, ma tanta di lavorare.
"Perché c’era bisogno di portare a casa i soldi. Il mio primo impiego è stato da tornitore, a Castelleone. Ma stare tutto il tempo davanti a un tornio mi annoiava: ho cambiato tre officine in pochi mesi. Poi un bel giorno il presidente del Pizzighettone, la squadra in cui ero andato a giocare, mi ha dato un lavoro più stabile: lui aveva una fabbrica di camicie e io tagliavo i tessuti".
E intanto sul campo studiava da Mitico.
"Ho cominciato a 13 anni nel Pizzighettone: due anni dopo ero già in prima squadra, campionato di Prima Categoria. Giocavo terzino sinistro, nonostante fossi di piede destro. Tifavo Inter e crescendo mi ispiravo a Carletto Muraro: mi piaceva la sua rapidità di attaccante".
E allo stadio Zini andava?
"Quasi mai. Del resto Cremona era lontana e io ero un ragazzo di paese, che giocava e lavorava: non avevo tempo di andare a vedere le partite".
E le discoteche?
"Non ne ho mai frequentata una".
A 16 anni il ragazzo di paese fu a un passo dal vestire la maglia dell’Empoli.
"Andammo in tre del Pizzighettone a fare un provino. ‘Bravo, ti prendiamo’, mi dice un loro dirigente. Mi avrebbero pagato vitto e alloggio dandomi però pochissimi soldi, mentre io a casa prendevo un po’ di soldi dal Pizzighettone, un altro po’ di soldi dal lavoro più quelli che mi mettevo in tasca nei tornei estivi. Così rifiutai: col senno di poi dico che ho sbagliato".
Mentre lei rifiutava l’Empoli al Pizzighettone transitava un certo Gianluca Vialli.
"Lui arrivava e io andavo alla Soresina. Ma era un Vialli bambino: solo dopo ho scoperto che per una stagione abbiamo giocato con gli stessi colori".
Sabato conta di più per il Bologna o per la Cremonese?
"Mi verrebbe da dire che conta il giusto per entrambe. La Cremonese al 90 per cento è già retrocessa e il Bologna credo che abbia pochissime possibilità di ottenere un piazzamento utile per l’Europa".
Anche lei vede una squadra un po’ sgonfia?
"Il calo nell’ultimo mese c’è stato. Corri e corri, se non hai tante alternative ai titolari sul piano fisico qualcosa alla lunga paghi. Ma per me c’è dell’altro: Motta ha grandi meriti nell’aver dato un’identità alla squadra, ma non mi ha convinto per niente nella gestione di Arnautovic".
Sarebbe a dire?
"Al di là dei vari infortuni, se hai un attaccante da 12-15 gol a campionato devi saperlo gestire meglio".
Thiago resta?
"Resta se non ha richieste da grandi squadre. Cosa che può succedere, perché lui ha giocato ad alti livelli ed è stimato".
E Arnautovic?
"Chi lo sa. L’unica certezza è che non possono restare sia lui che Motta".
Il ragazzo cresciuto nella Bassa cremonese in lei non ha mai smesso di esistere.
"Vivere in provincia mi ha trasmesso dei valori: è in quegli anni che ho imparato che l’impegno e la serietà pagano. E ho imparato anche ad affrontare i sacrifici, che anche oggi non mi pesano quando lavoro sul campo con i ragazzini dei ‘Camp’ che portano il mio nome".
Dai campi di Cornaleto ai ‘Camp Mitico Villa’. Se si volta indietro cosa vede?
"Vedo i miei nonni Giacomo e Clotilde, che mi hanno cresciuto da bambino quando i miei lavoravano. E vedo mia sorella Marinella, che ci ha lasciato troppo presto. Mio padre e mia madre invece li vedo almeno una volta alla settimana e per fortuna stanno benissimo. Guai a chi tocca loro le galline".