Romano Bertocchi, il presidente tifoso che faceva l'aeroplanino

Ritratto dell'ex dirigente della Virtus Bologna, scomparso all'età di 90 anni

Romano Bertocchi (terzo da sinistra) a una cena della Virtus Bologna (FotoSchicchi)

Romano Bertocchi (terzo da sinistra) a una cena della Virtus Bologna (FotoSchicchi)

Bologna, 7 novembre 2019 - Non c’è un vocabolo che, da solo, possa riassumere i 90 anni di Romano Bertocchi, che ci ha lasciato proprio questa mattina. Nel basket, Romanino, è stato tutto. Tifoso appassionato, editore - suo il magazine Bianconero ai tempi della prima Coppa dei Campioni -, amico fraterno (quasi un secondo padre) di Ettore Messina. E ancora fiero avversario di Marco Madrigali - nel 2002 decise, per protesta, di non rinnovare l’abbonamento -, pure presidente dal 2004 al 2011.

E protagonista, con il suo entusiasmo e la sua passione, della rinascita, dopo l’esclusione dal campionato della Virtus, il 31 agosto 2003. Aveva raggiunto Roma in aereo, al fianco di Claudio Sabatini, nella speranza che il consiglio federale salvasse in qualche modo, la sua Virtus. Lo vedemmo uscire dagli uffici di via Vitorchiano con le lacrime agli occhi. Ma anche con una forte determinazione: “Se salviamo la Virtus faccio l’aeroplanino in piazza”.

L’aeroplanino era il modo con cui, Romano, fedele alla sua “transenna” al PalaDozza, si prendeva gioco di Aza Petrovic, quando la Virtus si trovava a incrociare la strada del fratello del grande Drazen. E l’aeroplanino di Romano divenne un marchio di fabbrica. Salvata la Virtus tenne fede al suo giuramento: si presentò davanti al Nettuno, non in pantaloncini corti - “fa freddo, ho una certa età, voi siete matti”, se la rideva - con la canotta che gli aveva regalato Alfredo Cazzola. E fece l’aeroplanino, felice come un bambino, perché la sua Virtus si era salvata.

“Sua” perché si sentiva parte integrante di quel progetto. Al punto tale da scherzare e accettare gli sfottò di chi gli imputava di essere più vecchio, anagraficamente, della sua amata squadra. Presidente, poi, per volere di Sabatini. Con la passione e il temperamento del tifoso. Ma anche con la lucidità di chi sapeva ascoltare dirigenti che, da quel punto di vista, avevano più esperienza di lui. Poi, la parentesi, lunghissima, di “papà adottivo” di Ettore Messina. Che seguiva fedelmente, come un ombra. Con scambio di opinioni, senza sconti. Bianconero da capo a piedi, verrebbe da dire. Senza di lui, senza quel suo modo gioioso di battere le mani, per sostenere la sua Virtus, al PalaDozza non sarà più la stessa cosa. Ciao Romanino.

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