GABRIELE PAPI
Cronaca

Quelli che stanno sulla schiena del buratello

Alle origini delle espressioni romagnole più pittoresche c’è la vita quotidiana di un tempo.

Quelli che stanno sulla schiena del buratello

"Stare sulla schiena del buratello", oppure "beccare come un paganello". Efficaci e pittoresche espressioni ancora vigenti: e da spiegare ai più giovani perché buratelli e paganelli, entrambi pesci così popolari da entrare nei modi di dire, sono usciti di scena dalle odierne consuetudini e costumanze. Andiamo con ordine, perché il tema è gustoso. "Stare sulla schiena del buratello" significa essere in una posizione più che scivolosa, insostenibile.

E’ modo di dire a tutt’oggi descrittivo: ad esempio per allenatori di calcio o per personaggi politici la cui panchina o la cui poltrona è in bilico.

E allora: il buratello è l’anguilla giovane, pesce abbondante sino a pochi decenni fa. Abitava le valli, i canali, il mare. Il suo nome viene dal latino medievale ‘buratelus’: origine che la dice lunga sulla popolarità di questo pesce che ha rallegrato, e spesso sfamato, generazioni di ieri, perché allevato, oppure catturato in quantità soprattutto in autunno, quando legioni di anguille migravano verso il mare per la riproduzione.

L’anguilla è come il tenore del Rigoletto, aspetta il brutto tempo per andare a far l’amore. Da secoli era consumato non solo fresco e poi cucinato in varia foggia, ma anche marinato, affumicato, carpionato (cioè fritto e conservato in aceto con cipolla, aglio, spezie). I buratelli sguscianti come bisce negli acquai delle pescherie erano veduti e un tempo familiari: oggi bisogna ordinarli e in genere vengono dagli allevamenti di Chioggia.

Un amarcord sulla sguillante scivolosità del buratello. Da ragazzi -parliamo di mezzo secolo- fa ci capitò di pescarne qualcuno lungo il Savio. Ricordiamo bene il fremito della canna da pesca caratteristico di quella beccata: l’anguilla abbocca in modo goloso e vorace.

E il nostro stupore quando vedemmo il buratello, fuori dall’acqua, avvoltolarsi come una serpe intorno alla lenza, viscido tra le mani. Ci venne in soccorso un pescatore più esperto che l’agguantò con uno straccio e ci insegnò il da farsi.

Secondo round: "beccare come un paganello", perché il paganello (uno dei nomi del ghiozzo) è il pesce più becchereccio che ci sia.

Era un piccolo classico della primavera inoltrata: folte schiere di pescatori d’ogni età affollavano gli scogli di Cesenatico e delle località costiere per una pesca proficua e divertente. Bastava una canna un po’ lunga, anche senza mulinello.

Il paganello abbocca volentieri a vari tipi di esca: persino a striscioline di vecchie camere d’aria, a simulare lombrichi. Pesce umile dal punto di vista commerciale: e tuttavia nelle mani esperte delle donne e della gente di mare poteva dare soddisfazioni. Ad esempio, lessato e strizzato diviene buon brodo o sugo per minestre e risotti.

Perché il nome curioso di paganello? Una leggenda romagnola (anticlericale) racconta che nove secoli fa San Antonio da Padova (da non confondere con San Antonio Abate, quello del porcello) venne a predicare alle foci del Marecchia: poiché i pescatori eretici non lo stavano a sentire, il buon santo parlò ai pesci che quasi tutti vennero a galla; non i paganelli, perché piccoli pagani…

Etimologia suggestiva, ma fantasiosa. In ogni caso ironia sorridente, non prepotente.