Sfrecciava il ‘velocipite’ tra lo stupore dei cesenati

Nel 1839 la prima apparizione della bicicletta in città: il ravennate Mazzesi percorse quattro volte il tragitto tra Porta Santi e Porta Fiume

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di Gabriele Papi

Bicicletta: passione per molti e compagna di vita quotidiana per tanti romagnoli e romagnole, l’altro ieri come oggi. Abbiamo ripescato al riguardo una chicca storica poco conosciuta: la prima apparizione del “velocipite”- allora si chiamava così- a Cesena, quasi due secoli fa. Correva il maggio del 1839, per la precisione il giorno 16. Destò stupore e meraviglia tra i cesenati l’esibizione, la ‘carriera’ (nome arcaico delle corse) del ravennate Giovanni Mazzesi. Il percorso di gara prevedeva l’andata e ritorno, per quattro volte consecutive, tra Porta Santi e Porta Fiume. Il coraggioso velocipedista impiegò meno di mezzora per compiere il circuito. Provando a immaginare lo stato delle vie cittadine di allora, tra selciati e buche, fu una impresa tipo quelle dei corridori odierni sul pavè della mitica Parigi-Roubaix. Non sappiamo bene come fosse costruito quell’antenato della bicicletta: per provare a darne un’idea, proponiamo ai lettori una mini storia della bicicletta per immagini tratta da una vecchia enciclopedia. Intermezzo storico linguistico: velocipite, velocifero, biciclo sono i primi nomi, al maschile, del nuovo mezzo di locomozione. Poi, lungo l’800, trionfa la definizione al femminile: bicicletta, dal francese ‘bicyclette’, forse anche per il senso di libertà, di trasgressione, di novità che il nuovo mezzo proponeva. Non a caso nell’Esposizione Universale di Parigi del 1896, la trionfante bicicletta era stata definita ‘la piccola regina’. A proposito: ad una antecedente Esposizione parigina era stato esposto anche un biciclo, in legno pregiato, dell’ebanista cesenate Luigi Ricci: segno che la bicicletta aveva già conquistato il cuore e l’attenzione degli artigiani romagnoli e degli appassionati di corse (vien da pensare che la passione per ogni tipo di corse sia stampato nel Dna romagnolo). Le continue invenzioni e migliorie tecniche (nuove catena di trasmissione ai pedali, primi freni, telai in metallo, i pneumatici in gomma Dunlop) correvano di bocca in bocca anche in provincia. Fine 800, a Cesena: era già attivo il ‘Veloce Club’, gite, corse e veglioni di autofinanziamento. Certo, nei primi tempi, le biciclette erano ancora costose. Lo raccontano i versi burleschi del romagnolo Stecchetti (nome d’arte di Olindo Guerrini).”Io corro, io volo sulla biciclettavero ideal delle cavalcature chi soffre di emorroidi e di bolletta mi invidi pure”. Anche il nostro Renato Serra, letterato ma non topo di biblioteca, amava la sua bicicletta, una fiammante Peugeot: tra gite fino a Firenze e veloci sprint con gli amici lungo il Viale Mazzoni, quando non c’era il mercato. Intanto nascevano anche da noi fior di officine e laboratori che realizzavano biciclette di qualità, per ogni gusto e tasca. Anche per le donne. La bicicletta, nel tempo, cambiava il costume. 1935: fa furore un’allegra canzone in dialetto romagnolo di Secondo Casadei, “Un bès in biciclèta” (un bacio in bicicletta), nota e richiesta ancora oggi. Lui chino sul manubrio ma non solo, lei sul cannone: volendo, ci si può baciare. “Provate, provate burdèli (ragazze) e poi mi darete ragione è un bacio che vi farà vedere le stelle è una soddisfazione…”.