Pronto soccorso, il mistero tibetano

Bologna, 18 agosto 2019 - Sembra un mistero tibetano attorno al quale la politica propone magiche formule risolutive che in realtà non chiudono mai la partita. Le attese al pronto soccorso e la mancanza di medici costituiscono un tema che brucia sulla pelle dei cittadini. Più del reddito di cittadinanza, dell’emergenza migranti, dell’aumento dell’Iva che pure sono motivi di grande turbolenza per il governo ora in sala di rianimazione. Dallo Stato alle Regioni il nodo è talmente ingarbugliato che non si sa più come scioglierlo. E senza allungare lo sguardo verso certe aree del Sud basta pescare dal mazzo esempi anche nelle regioni ‘virtuose’.

Ad Ancona la rabbia dei cittadini nell’ ospedale - modello delle Torrette è al limite dove al pronto soccorso le attese superano spesso le sei ore, idem a Bologna dove giorni fa una donna di 75 anni è rimbalzata tre volte in due pronti soccorso, con attese di 4 - 6 ore in condizioni gravi, seppur non in pericolo di vita per un’ulcera, finendo poi in un ospedale privato prima che la disavventura si concludesse nel peggiore dei modi. L’Emilia Romagna di recente ha annunciato una rivoluzione impegnativa: in 12 mesi riduzione drastica dei tempi d’attesa al pronto soccorso con l’aggiunta del codice blu, per i casi meno gravi, e l’assunzione di 130 fra medici e infermieri.

Eppure c’è qualcosa che non va nel network della sanità italiana. Un tema di cui il prossimo governo, balneare o duraturo che sia, dovrà occuparsi seriamente. Detto ciò possiamo star male con serenità: la professionalità degli ospedali in Italia registra voti con lode. Sul pronto soccorso le regioni rilanciano fantasiosamente singoli rimedi ma privi di una unica strategia. Il Molise ingaggia medici militari, Veneto, Puglia e Toscana, pur con le perplessità dei sindacati e con modalità differenti, puntano a far entrare nei pronti soccorso i neolaureati. Servirà? Probabile in un periodo in cui di registra una uscita massiccia di camici bianchi dal sistema sanitario (52mila in pensione da qui al 2025), accanto alla fuga di professionisti verso il privato per le difficoltà che incontrano nello svolgere la libera professione nell’ambito della sanità pubblica. Insomma un ginepraio dove non si capisce granchè. E’ giusto che le singole regioni si muovano in autonomia, ma qui serve un arbitro dotato di Var che detti la linea generale. I politici dicono serve una cabina di regia, i cittadini dicono fate presto, siamo stanchi di aspettare.