Editoriale

Il latte del popolo

Una cooperativa, lo Stato e una grande banca. Una proprietà, insomma, divisa tra i tanti volti dell’economia. È così che si presenta ora Granarolo, tra i principali gruppi agroalimentare italiani e bandiera del latte made in Italy. Il colosso bolognese è infatti reduce da un aumento di capitale da 160 milioni di euro che ne rivoluziona in parte l’azionariato, ma che ne offre anche una visione diversa. Dietro il rafforzamento, che ha come direttrici l’innovazione e la crescita all’estero, c’è appunto una nuova fotografia della proprietà. Che offre spunti di riflessione.

La storica cooperativa Granlatte ha ora in mano il 65% della società, e rimane al timone, mentre entrano Cassa Depositi e Prestiti, braccio operativo del Ministero dell’Economia, col 15%, e l’Enpaia, l’ente nazionale di previdenza per gli addetti all’agricoltura, con un altro 15%. Il resto è nelle tasche di Intesa Sanpaolo, al quale si aggiunge infine una piccola percentuale della cooperativa marchigiana Cooperlat. Cooperative, Stato e privati, per riassumere.

Cosa significa questo? Che il latte, principale business di Granarolo, è un bene di tutti e che secondo tutti può garantire business. L’azienda, che vanta 1,5 miliardi di ricavi, negli anni, si è ritagliata un posto al sole non solo in Emilia-Romagna, dove è nata, ma in tutta Italia e anche all’estero dove sta da tempo cercando di allargarsi. È la più grande filiera lattiero casearia italiana e da sempre si batte per il giusto prezzo del latte italiano, sostenendo che chi lo produce deve essere remunerato adeguatamente proprio per il valore sociale di questo bene. Ecco perché Granarolo alla fine è di tutti, dei suoi soci e dei suoi azionisti, ma anche dello Stato e quindi di tutti noi.